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Elezioni Bolivia, i nuovi scenari dopo la storica disfatta del socialismo sudamericano

Imagoeconomica

Cade un altro baluardo nella politica sudamericana: anche in Bolivia, dove sta governando da vent’anni consecutivamente, la sinistra esce sconfitta dalle elezioni presidenziali. Una disfatta totale quella del primo turno del 17 agosto, che non dà nessuna chance nemmeno in vista del ballottaggio di metà ottobre, dato che ad accedere al secondo turno sono due candidati entrambi di destra, o comunque di opposizione rispetto alla maggioranza uscente e al presidente Luis Arce: il senatore Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente, ma di una vita fa appunto, Jorge “Tuto” Quiroga, Il primo è un profilo più giovane e moderato: 57 anni, economista, esponente del centro democristiano e paladino della lotta alla corruzione. Quiroga invece ha oggi 65 anni e tante vicissitudini alle spalle, compresa la “macchia” di essere stato il vice dell’ex dittatore Hugo Banzer e poi suo successore. Profilo decisamente più conservatore e filo-statunitense: ha studiato in Texas ed era ingegnere alla IBM.

Un’altra disfatta epocale per il socialismo sudamericano

Per il socialismo sudamericano si tratta dunque di una sconfitta epocale, peraltro sulla scia di quanto sta accadendo da diverso tempo: dopo “l’onda rossa” degli anni Duemila, quando praticamente tutti i Paesi dell’area erano governati da partiti di sinistra o di centrosinistra, oggi questo vale solo per il Brasile del redivivo Lula, per il Cile di Gabriel Boric e per la Colombia di Gustavo Petro, considerando il Venezuela di Nicolas Maduro un discorso rigorosamente a parte. Invece hanno svoltato a destra, e in alcuni casi ad estrema destra, l’Argentina, l’Uruguay (dove però è appena tornato al potere il partito di Pepe Mujica, con Yamandù Orsi), il Paraguay, il Perù, l’Ecuador e ora la Bolivia.

A La Paz, per un ventennio, la sinistra aveva sempre governato, anche se non in maniera omogenea: prima col più radicale Evo Morales, primo presidente indigeno che aveva portato il Paese nel boom economico, poi con il riformista Luis Arce, ex compagno di partito di Morales nel Movimento al Socialismo, erede designato ma poi nel tempo nemico giurato del predecessore e scissionista. Ed è proprio questa spaccatura che è costata cara alla sinistra. Peraltro Arce non si è ricandidato e il candidato da lui indicato è stato un fiasco, mentre Evo avrebbe voluto ma gli è stato impedito: è ineleggibile per essere stato già tre volte consecutive presidente, in violazione della Costituzione (la terza volta vinse ma dovette dimettersi e il tentativo frettoloso di “aggiustare” la Carta fu bocciato), ed inoltre è anche implicato in una brutta storia di violenza sessuale su minori.

Cosa resta del miracolo economico di Morales e cosa succede adesso nella corsa al litio

Del miracolo economico dell’era Morales è rimasto ben poco e ora quella impalcatura progressista rischia di essere travolta dalle proposte liberiste dei due sfidanti al ballottaggio. Quiroga ad esempio non vede l’ora di privatizzare tutto, mentre Pereira – che è stato la vera sorpresa del primo turno – punta sulla reindustrializzazione, ma sempre strizzando l’occhio ai capitali esteri. La Bolivia in effetti, come tutto il Sudamerica, è pesantemente de-industrializzata, avendo puntato tutto sull’export di materie prime, in particolare quei minerali critici che ora fanno gola a tutto il mondo, ad incominciare dal litio di cui detiene una delle maggiori riserve mondiali, per 23 milioni di tonnellate stimate. Al momento però ne produce poco, meno dell’1% del totale globale e proprio per questo la nuova presidenza sarà decisiva per definire le strategie.

Finora, prima con Morales ma poi pure con Arce, il Paese andino ha di fatto consegnato le proprie risorse alla Russia e alla Cina. Ora, c’è la netta possibilità di una svolta filo-Usa o comunque di relazioni commerciali meno ideologiche, per così dire. Anzi, c’è da immaginare che una volta chiusa la pace in Ucraina Donald Trump possa buttare un occhio anche lì e cogliere la palla al balzo, magari attraverso uno dei suoi rumorosissimi endorsement in vista del ballottaggio del 18 ottobre. Nel frattempo c’è una crisi da affrontare: a La Paz e dintorni non si trovano più dollari, il che significa che il carburante e alcuni prodotti basilari stanno viaggiando a prezzi insostenibili. L’inflazione è schizzata al 25%, la più alta da 17 anni e ormai la più alta del Sudamerica escludendo il Venezuela e considerando che l’Argentina ha imboccato un percorso virtuoso in questo senso.

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