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Cuore granata: per il vecchio Toro comincia un’altra stagione di sofferenza. I colpevoli del declino

E facciamoli finalmente i nomi di chi ha ammazzato quello che Giovanni Arpino chiamava il “tremendismo” granata. Nomi illustri di sedicenti grandi tifosi del Toro, che nella migliore delle ipotesi sono colpevoli di aver provocato un’eterogenesi dei fini: volevano salvarlo e lo hanno affossato. Sono tre: Bettino Craxi, Diego Novelli, Paolo Cantarella.

Craxi almeno ci ha fatto vivere tre stagioni esaltanti: in classifica davanti alla Juve, in Europa noi e loro no (“Resta con noi Gigi Maifredi” cantavamo sugli spalti sbertucciando l’allenatore del “calcio champagne” che aveva devastato i bianconeri), la finale di Coppa Uefa persa con due pareggi e un quasi gol non entrato per pochi centimetri negli ultimi minuti del ritorno ad Amsterdam contro l’Ajax.

Solo che Gian Mauro Borsano, l’amico di Craxi, era troppo coinvolto nella Tangentopoli socialista, frequentò le patrie galere (dov’è ritornato di recente per il fallimento Semeraro) e trascinò con sé il Toro il cui bilancio era persino riuscito a far quadrare. E’ vero, vendeva i gioielli del vivaio, ma sapeva rigenerarne altri e soprattutto sapeva comprare: Martin Vasquez, Scifo, Casagrande, Fusi, Romano, Policano, tanto per fare dei nomi.

Con la ciliegina di Pasquale Bruno detto “O’ animale” prelevato dalla Juventus e diventato il più antijuventino dei giocatori granata. Un mastino che non lasciava toccare la palla nei derby a Roberto Baggio e che i tifosi granata riuscirono a far salire al terzo posto (“Pasquale Bruno in nazionale”) nella classifica del giornale satirico Cuore sulle cose più belle della vita. Lo precedevano solo due tipi molto espliciti di rapporti eterosessuali.

Diego Novelli, il sindaco rosso che è riuscito a far restare Torino per 40 anni senza la metropolitana, perché il tram era più “proletario”, dopo improbabili soluzioni proprietarie (Goveani, Calleri, Vidulich) si mise di mezzo con l’unico fondamentale scopo di ricostruire lo storico Filadelfia (Novelli è così, ama “il piccolo mondo antico”) e cercò di far fare un affare a Francesco Cimminelli, potente imprenditore dell’indotto Fiat, juventino dichiarato, abbindolato con promesse di centri commerciali e altri appalti nell’area attorno al vecchio stadio, da ricostruire come un museo.

Cimminelli era già noto per i suoi contributi alle Feste dell’Unità. Forse, però, Novelli non ce l’avrebbe fatta se non fosse intervenuto l’amministratore delegato della Fiat, Paolo Cantarella, con una potente opera di moral suasion nei confronti del povero industriale fornitore. Morale: Torino fallito, Cimminelli fallito (un buco di circa 200 milioni), la Fiat quasi (poi arrivò Marchionne, ma questa è un’altra storia…).

E Cairo fu, pronubo il sindaco Sergio Chiamparino, il post comunista che ha dato a Torino la metropolitana e le Olimpiadi invernali. Cairo Urbano, nato il 21 maggio 1957 a Masio (Alessandria), milanese d’adozione, ex enfant prodige di Publitalia, fondatore della Cairo Communication nel cui portafoglio ci sono pubblicità ed editoria.

Papa Urbano, come fu chiamato all’inizio dai tifosi, sostiene di aver gettato nel Torino alcune decine di milioni di euro del suo portafoglio. Ha avuto un avvio brillante e ha vissuto un anno incredibile con il Toro in A e la Juve in B, ma oggi la squadra si sta preparando al terzo anno consecutivo in B. “Voglio vendere”, ha più volte dichiarato. Aggiungendo: “Ma nessuno si fa avanti”. Grande bugia. Ci sono stati, è vero, i quaquaraquà, il più celebre dei quali fu un non meglio identificato Cucciniello, patriarca di una famiglia di pasticceri di periferia di fede monarchica, il sospetto di una grossa vincita al superenalotto, la residenza in un castello del Monferrato da restaurare, un italiano molto approssimativo e poi… il nulla. Falso allarme.

Però negli ultimi mesi qualcosa si è mosso. Prima la Alessandro Proto Consulting, sede in Svizzera, che si definisce “uno dei leader d’investimento, delle imprese di consulenza e di real estate del mondo”. Proto ha messo sul piatto dieci milioni di euro per cominciare la trattativa, sostenendo di rappresentare 6 soci. E Cairo? Pur travolto dalla contestazione ha detto no, sostenendo ancora una volta che gli interlocutori si volevano fare solo pubblicità sui giornali.

Due giorni fa La Stampa ha rivelato l’interesse, con relativa offerta di 25 milioni di euro, di una holding americana, la Soave Enterprises, un miliardo e mezzo di dollari di fatturato nel 2010, interessata a sbarcare in Europa nel mondo sportivo. Cairo ha ribattuto che si tratta di una “grande balla”. Dall’America hanno risposto che era (stato) tutto vero, ma che il presidente del Toro aveva rilanciato con cifre insostenibili: 50 milioni in B, 70 in A. E allora ci si è chiesti: perché dice una cosa e razzola al contrario?

Secondo gli esperti a Cairo il Toro serve ancora: gli abbatte gli utili nel bilancio consolidato (11 milioni di perdite nel 2010), gli procura indirettamente clienti pubblicitari e gli lascia coltivare la grande speranza: la promozione in A vale 40-50 milioni di diritti televisivi. A questo punto avrebbe fra le mani un gioiellino da 100-150 milioni di valore. Ce la farà? Mah, finora, le delusioni sono state tante, troppe. Parola di tifoso, che però spera sempre che sia la volta buona.

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