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Confindustria: non basta la protesta. Il convegno della Piccola Industria

L’ Italia è a pezzi. Il Pil è calato dell’8% negli ultimi cinque anni. Sono evaporati 1,4 milioni di posti di lavoro. Si sta verificando una paralisi politica quale quella che l’Italia aveva già sperimentato nel 1919. E si sa come allora andò a finire. Anche oggi si possono intravedere pericoli per la coesione sociale e per la stessa democrazia. Parole forti quelli pronunciate al Convegno torinese della Confindustria dal responsabile dell’ Ufficio studi Luca Paolazzi e dal presidente della Piccola Industria, Vincenzo Boccia. Una protesta contro l’inazione della politica ed una denuncia dei gravissimi rischi che stiamo correndo. Ci vorrebbe un governo in grado di prendere decisioni coraggiose e nella giusta direzione. Ma per ora gli imprenditori non si sbilanciano sull’indicare i rischi che alcuni punti dei programmi dei partiti candidati a formare il nuovo Governo rappresentano proprio per quella ripresa della competitività la cui perdita sta alla base del nostro arretramento negli ultimi 10-15 anni ed il cui recupero gli imprenditori pongono alla base di una possibile ed urgente uscita del nostro sistema economico dallo stato di sofferenza in cui si trova.

La Confindustria rilancia un appello alle forze sociali per stipulare un nuovo ” Patto tra produttori” per migliorare la competitività della manifattura italiana e spingere così il sistema politico a fare quelle riforme di sistema (ridurre la tassazione, diminuire il costo dell’energia, riformare la PA) che potrebbero ridare fiato alla nostra industria considerata, a ragione, il motore della capacità di ripresa del Paese.

Si tratta di messaggi giusti e corretti nell’analisi, ma ancora vaghi ed un po’ ambigui nell’indicazione delle terapie. Cominciamo proprio dal campo che è di stretta pertinenza delle forze sociali: la concertazione. Per anni Confindustria e sindacati si sono messi d’accordo solo nel chiedere più soldi allo Stato come sgravi fiscali, incentivi ecc. Quando si è trattato di prendere di petto questioni spinose come la riforma della contrattazione, reclamata a gran voce dalla Fiat, la Confindustria si è mossa con poca determinazione finendo per rimanere a lungo paralizzata dai veti della Cgil, e senza poter arrivare ad un cambiamento veramente innovativo delle regole dei rapporti con i sindacati che avrebbero permesso quello scambio tra innovazione e flessibilità che – ha detto lo stesso Boccia – è uno dei fattori più importanti per riguadagnare la competitività perduta. Il risultato è che al Convegno di Torino la Fiat era assente non solo perché non è più in Confindustria, ma anche perché di fatto è stata costretta a tenere al minimo la sua presenza in Italia. Ed ora cosa ci si aspetta dalla Cgil che ha firmato un referendum per l’abolizione della sia pur timida riforma Fornero sull’art 18 e nel cui seno la Fiom vuole addirittura un contratto unico nazionale di tutta l’industria?

Rispetto alle forze politiche l’appello a mettere da parte i particolarismi di partito ed a trovare una intesa nel superiore interesse del Paese, è stato forte e retoricamente valido. Ma probabilmente l’Italia non ha bisogno di un governo qualsiasi, o magari di un governo che pone al centro della sua azione la demagogia antieuropea ed anti Euro, ma di un governo guidato da mano ferma per fare delle riforme profonde a partire da quella della ricostruzione dello Stato che compartano il rischio di dover sfidare tanti corporativismi e tante posizioni di rendita che rappresentano le vere palle al piede che stanno trascinando il Paese sempre più in basso. Ed allora, pur senza entrare direttamente nelle polemiche tra schieramenti partitici, sarebbe stato più chiaro se da Confindustria fosse venuta una critica più puntuale a certe posizioni espresse dalle tre principali forze politiche in campagna elettorale e dopo, durante queste lunghe settimane di balletto intorno alla formazione di un nuovo Governo. E’ stata decisamente stigmatizzata la posizione dei grillini sulla TAV e sulla decrescita che altro non vuol dire che un aumento della povertà per tutti, mentre nulla si è detto ad esempio sul rimborso dell’Imu, sui necessari tagli della spesa pubblica a cominciare dai sussidi per le imprese, sulle questioni del credito che vanno al di là del pur importante aumento dei fondi per le garanzie dei Confidi, o sugli assetti di governance del nostro sistema produttivo sia pubblico che privato che certo non facilita l’innovazione e la crescita delle imprese.

Poco o nulla si è detto sulla vendita dei beni pubblici e delle aziende controllate dallo Stato e dagli enti locali che oltre a portare perdite ai bilanci pubblici, spesso rappresentano una grave distorsione alle corrette regole della concorrenza. Non è uscita da queste prime battute del Convegno Confindustriale una visione chiara su quali sono i veri ostacoli che impediscono all’industria di crescere e che anzi stanno spingendo le nostre imprese sempre più a fondo nel buco nero della crisi.

Non bastano gli appelli ai partiti o la proposta di patti sociali che negli ultimi anni non hanno avuto alcuno sbocco concreto. Occorre scendere più in dettaglio: dire con chiarezza quello che va e quello che non va nei programmi dei vari partiti. Schierarsi con più concretezza anche per mettere in guardia la pubblica opinione rispetto all’illusione ( ormai galoppante) che nuovi interventi della spesa pubblica possano invertire la situazione. Lo Stato è il problema e non la soluzione. E su questo Confindustria è ancora reticente.

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