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Comunità energetiche rinnovabili al rallentatore. Incredibile: mancano ancora le regole

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Le comunità energetiche rinnovabili? Ottima idea per invogliare i cittadini a investire sulle rinnovabili mettendo a fattor comune l’energia prodotta e consumata garantendosi (almeno in teoria) qualche significativo risparmio nella bolletta. Ma ecco il solito italico intoppo: agli annunci roboanti delle istituzioni sui vantaggi di questa soluzione seguono i grovigli della burocrazia, l’incertezza delle regole, i ritardi delle norme. E così chi dovrebbe promuovere e possibilmente fare business con le comunità energetiche rinnovabili (CER) rimane prudentemente al palo. Ce lo dice il laboratorio Ref Ricerche diffondendo i risultati di un sondaggio tra 62 addetti ai lavori che operano nella generazione vendita dell’elettricità ma anche nelle infrastrutture, ad esempio per la mobilità elettrica e nel settore attiguo dei servizi idrici.

Bene, cioè male. Troppi ostacoli, come emerge dal test a campione che segue solo di pochi mesi il sondaggio ben più entusiastico prodotto nel gennaio scorso che aveva acceso concrete speranze per una definizione completa della normativa di settore, che ancora oggi manca. E così dei 62 operatori consultati solo 9 dicono di aver dedicato un po’ di tempo a riflettere sulle CER, 12 si sono fermati a una valutazione sommaria e 11 hanno mollato l’osso ancor prima di cominciare a pensarci davvero. Primi atti operativi abbozzati? Dei 62 consultati solo 10 hanno iniziato a fare qualche cosa. Troppe incertezze.

Freni ai volenterosi

Mentre ancora manca un vero quadro di riferimento e si attende la conclusione di una consultazione lanciata dall’Arera (l’Athority per l’energia, l’acqua e l’ambiente) ecco l’ostacolo più rilevante: la difficoltà di mettere d’accordo soggetti diversi seguendo quel modello privilegiato che rappresenta l’idea forte delle comunità energetiche, ovvero un’alleanza tra amministrazioni locali, piccoli produttori privati di elettricità con impianti rinnovabili e normali consumatori che possono far parte delle comunità energetiche anche senza avere un impianto ad energia rinnovabile ma che anche grazie a questo strumento possono essere incentivati a dotarsene. Un’ottima idea per “trasformare – rimarca Ref ricerche – i privati cittadini, famiglie aziende da semplici consumatori ad attivi produttori di energia pulita” favorendo così tanto declamata transizione energetica.

Peccato che il già difficile rapporto tra cittadini e amministrazioni locali in questo caso trovi un ostacolo in più nelle pesanti incertezze procedurali. Si pensi alla difficoltà di redigere gli statuti delle comunità energetiche sulla base di un modello di riferimento che ancora manca, riferimenti normativi ancora incompleti ma già complessi, o alla transizione ancora in atto tra uno schema tecnico che attualmente prevede la facoltà di costituire una comunità energetica rinnovabile solo tra utenti collegati a una cabina di distribuzione elettrica secondaria ma con la promessa (ancora indeterminata nei tempi e nei modi) di allargare l’opportunità anche a tutti coloro che sono collegati a una cabina primaria.

Competenze cercasi

Il secondo ostacolo rimarcato dagli intervistati deriva direttamente dal primo: la mancanza di competenze tecniche e normative in grado di orientare e guidare i candidati alle comunità energetiche, anche se su questo versante un plauso va dato al Gse, il gestore dei servizi energetici, l’organismo pubblico che gestisce tutti i flussi economici che riguardano le rinnovabili e che ha recentemente costituito un dipartimento dedicato proprio alla consulenza e la guida dei candidati alle comunità energetiche, a partire dai comuni che intendono promuovere questa soluzione. Urge far presto, anche per non disilludere e quindi allontanare coloro che alle CER hanno voluto credere.

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Categories: Economia e Imprese