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Cinema: ecco Barry Seal, il criminale nemico dei Narcos

“Barry Seal, una storia americana” è appena arrivato nelle sale italiane prima ancora dell’uscita negli Stati Uniti. Cominciamo subito nell’aggiungere qualcosa al titolo: una storia vera, drammatica e non solo americana. La vicenda è semplice quanto complesso è il periodo in cui si colloca: siamo a cavallo della fine degli anni 70 e inizio 80. Il presidente Usa è Ronald Reagan e il suo mandato, dall’81 all’89, segna un’epoca nell’economia e nella politica internazionale. La cosiddetta “reaganomics” si sviluppa nel liberismo sfrenato mentre, nella scena internazionale mantiene solida la linea dell’interventismo diretto e indiretto nelle aree o nei paesi dove gli Usa hanno interessi strategici.

Barry Seal ha vissuto quegli anni e la storia raccontata nel film è reale: inizia come pilota civile nella TWA per poi passare ai voli illeciti, prima al soldo della Cia e poi a quello dei narcotrafficanti che, a loro volta, trafficavano con diverse formazioni guerrigliere operanti in centro America. Trasportando di tutto, droga, armi, guerriglieri, accumula una fortuna e, di questa stessa fortuna, rimane poi vittima. Tutto qui, tutto, drammaticamente, molto semplice. Il film ci racconta, in qualche tratto anche in maniera leggermente fumettistica, ancora una volta come forse solo i registi USA sanno fare, fatti e misfatti delle operazioni segrete che, a nostra insaputa, si svolgono nelle relazioni internazionali.

Il regista, Doug Liman, ci fa vedere  dalla serratura il retrobottega di queste vicende dove lo spettatore accorto e di buona memoria ha gioco facile nel ricordare tanti buchi neri nella storia moderna degli Stati Uniti e delle spericolate operazione di appoggio a soggetti politici di dubbia credibilità.  In questa vicenda, il sostegno aperto ai guerriglieri Contras del Nicaragua riporta facilmente ad esperienze analoghe di altre parti del mondo. La pellicola, a suo modo, scorre fluida nel raccontare con le immagini la storia di Seal e di coloro che, direttamente o indirettamente, lo hanno utilizzato fino a quando è stato utile. Ad un certo punto, arrestato dalle varie polizie, viene subito rimesso in libertà da un certo governatore dell’Arkansas, un giovane Bill Clinton, democratico.

Ad Hollywood sono bravi, indubbiamente, a riaprire capitoli scomodi della storia americana e non hanno esitazioni a sbattere sul grande schermo nomi e volti di quanti, veri o presunti, sono stati responsabili di avvenimenti drammatici e, spesso, ancora avvolti nelle ombre dei misteri. Abbiamo parlato di “reaganomics” e viene in mente una similitudine con “Il lupo di Wall Street” (Scorzese, 2013) dove Di Caprio somiglia molto a Tom Cruise di Barry Seal nel modo, nello stile, nella rappresentazione pubblica della smania di successo, di arricchimento facile tipica proprio di quel neologismo.

Il film è di sicuro successo: non manca il ritmo, la sceneggiatura è credibile e le immagini suggestive. Verrebbe anche di aggiungere divertente, se non fosse che si riferisce ad un mondo, quello del traffico di droga, troppo drammatico per meritare un aggettivo del genere. Il regista ci prova ad alleggerire il carico emotivo della storia, talvolta ci riesce, ma non abbastanza da far dimenticare il suo reale significato.

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Categories: Cultura
Tags: Hollywood