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Cina, 50 anni dopo la rivoluzione crescono benessere e disuguaglianze

La decelerazione della crescita economica della Cina (+6,7% a/a in ogni trimestre del 2016) dopo oltre 35 anni di sviluppo ad un tasso medio annuo di poco inferiore al 10% è insieme causa ed effetto del rallentamento globale. Il risultato è però in linea con l’obiettivo fissato dal Governo del paese che per quest’anno ha programmato un incremento dell’attività economica compreso tra il 6,5% e il 7%.

La realizzazione di una crescita del Pil intorno ai valori auspicati passa anche per un ribilanciamento delle diverse componenti che dovrebbe vedere gradualmente aumentare la quota dei consumi delle famiglie. Redditi in aumento e l’estensione dei programmi di welfare a fasce di popolazione sempre più ampie lasciano prevedere che la spesa delle famiglie possa intensificarsi.

All’andamento favorevole dei consumi contribuisce anche il progressivo aumento del numero di famiglie appartenenti al ceto medio: rispetto ai 5 milioni del 2000 si stima attualmente siano 225 milioni; a queste se ne potrebbero aggiungere altre 50 milioni entro il 2020. Le modifiche dello status sociale cambiano anche il paniere della spesa: in diminuzione risulta la quota di consumi per cibo e abbigliamento, mentre aumenta quella per le comunicazioni, l’istruzione e lo svago.

Malgrado il generale miglioramento del livello di vita, la distribuzione della ricchezza in Cina risulta piuttosto squilibrata tra i nuclei familiari. Su di essa pesano la zona (urbana o rurale) e/o la regione di residenza ma soprattutto la proprietà dell’abitazione. Gli incentivi all’acquisto della casa hanno fatto rapidamente e sensibilmente aumentare il livello di indebitamento delle famiglie tanto da indurre la banca centrale ad intervenire per limitare l’erogazione di nuovi prestiti da parte delle banche.

Un Pil in decelerazione controllata

Tra le notizie che negli ultimi tempi ricorrono più di frequente quando si parla di Cina vi è certamente l’attenuarsi della crescita economica e le conseguenti ripercussioni, dato il peso che ormai il paese ha nell’economia mondiale. Il Pil della Cina, espresso in parità di potere d’acquisto (ppa), rappresenta attualmente il 17% circa del prodotto globale, la quota maggiore al mondo prima anche degli Stati Uniti.

Dopo aver chiuso il 2015 con un aumento reale del Pil del 6,9% e una variazione del +6,7% in ognuno dei primi tre trimestri di quest’anno, le previsioni delle principali istituzioni sovranazionali indicano per i prossimi anni ancora un graduale ridimensionamento del ritmo di crescita, che dovrebbe comunque mantenersi al di sopra del 6%. In tal modo la Cina arriverebbe a rappresentare il 20% del Pil del pianeta entro il 2020 (espresso in ppa).

Malgrado la diffusa preoccupazione per il rallentamento dell’economia, l’evento rientra nelle linee-guida del 13esimo piano quinquennale (2016-2020) fissato dal Governo che stabilisce, tra l’altro, come l’incremento annuo non debba scendere al di sotto del 6,5% al fine di raddoppiare il Pil pro-capite del 2010 entro la fine dell’attuale decennio. In tal modo si realizzerebbe l’obiettivo di una “società moderatamente prospera” in concomitanza con il centesimo anniversario della fondazione del Partito comunista cinese. Il traguardo dovrebbe essere agevolmente raggiunto considerato che nel 2010 il Pil pro-capite era di circa 31mila yuan (€4.250) e quello del 2015 ha sfiorato i 50mila (€6.850).

La realizzazione di una crescita del Pil intorno ai valori auspicati passa anche per un ribilanciamento tra il peso delle diverse componenti a favore di un aumento della quota dei consumi delle famiglie, proposito spesso riproposto nelle diverse programmazioni quinquennali ma che ancora stenta a concretizzarsi. Attualmente la spesa delle famiglie cinesi ammonta al 37% del Pil, solo un punto percentuale in più del 2010 ma l’ultima pianificazione si augura cresca in misura “significativa” nel periodo 2016-2020.

Al raggiungimento del risultato potrebbe contribuire il consolidarsi di due trend in corso da alcuni anni ossia una crescita del reddito delle famiglie maggiore del Pil e un ampliamento dei programmi di welfare con la conseguente riduzione dell’elevato risparmio precauzionale che da sempre caratterizza il comportamento dei nuclei familiari cinesi. Secondo le indicazioni del Fondo monetario internazionale l’attuale tasso di risparmio pari al 37% del reddito disponibile, potrebbe scendere di 5 p.p. nei prossimi anni.

A livello pro-capite, nel 2015, il reddito medio disponibile delle famiglie è aumentato del 7,4% (a 21.966 Rmb, €3mila) con un incremento del 6,6% per la popolazione urbana (a 31.195 Rmb, €4.276) e del 7,5% per quella rurale (a 11.422 Rmb, €1.566). Il diverso ritmo di crescita tra i redditi delle due comunità ha consentito una riduzione della forbice che rimane tuttavia ampia e favorisce il proseguimento del processo di migrazione interna.

Nel 2015 la popolazione residente nei centri urbani ha superato il 56%, 1,3 p.p. in più rispetto a un anno prima con l’obiettivo (incluso nel 13esimo piano quinquennale) di raggiungere il 60% entro il 2020. Per quanto riguarda l’estensione delle prestazioni previdenziali e assistenziali i numeri sono impressionanti, come sempre quando si parla di Cina, paese con una popolazione di oltre 1,3 miliardi di persone: nel 2015 gli individui aderenti a programmi pensionistici erano 505 milioni (+3,7 mln rispetto all’anno precedente), le prestazioni sanitarie di base assicurate a 666 milioni di persone (+68,2 milioni), le indennità di disoccupazione erogate 2,3 milioni, 214 milioni erano gli assicurati contro gli infortuni sul lavoro (+7,65 milioni), la maternità tutelata per 178 milioni di donne e il reddito minimo garantito a oltre 66 milioni di cinesi.

Nel complesso quindi il passaggio generazionale dai consumatori frugali del passato a un sempre più diffuso benessere potrebbe costituire un volano per accrescere la quota dei consumi dei nuclei familiari cinesi. Un miglioramento del tenore di vita si rileva anche in altre circostanze a cominciare dall’andamento delle vendite al dettaglio che, per quanto in attenuazione rispetto al recente passato, nei primi dieci mesi di quest’anno sono cresciute del 10,7%.

Non meno importanti i mutamenti rilevabili nella tipologia di beni acquistati. Molti i capitoli di spesa che nel 2015 sono aumentati a doppia cifra: alimentare (+14,6%), elettrodomestici (+11,4%), servizi sanitari (+14,2%), attrezzature per uffici (15,2%), arredamento (16,1%), apparecchi per telecomunicazioni (+29,3%), materiali da costruzione e decorazioni (18,7%). La dinamica delle altre voci, per quanto più contenuta, è risultata comunque vivace: dal 5,3% delle autovetture, all’8,8% dei cosmetici al 10% circa dell’abbigliamento.

In circa venti anni (1995-2012) sono sensibilmente cambiate le quote destinate alle diverse categorie di consumo, con una graduale riduzione della spesa riservata ai beni primari: sia per le famiglie urbane sia per le rurali è diminuito sensibilmente il peso dei beni alimentari e dell’abbigliamento a fronte di un aumento delle spese per i servizi sanitari e per l’istruzione, la cultura e lo svago. Per i nuclei residenti nelle città si rileva anche un aumento dell’incidenza delle spese per il trasporto e le comunicazioni.

Una società in trasformazione

Negli ultimi tre decenni il Pil della Cina è aumentato ad un ritmo medio annuo del 10% circa determinando significative trasformazioni sociali, in parte risultato di interventi specifici, in parte conseguenti ad un’evoluzione economica così dinamica e prolungata. La pianificazione del processo di urbanizzazione, di riduzione della povertà, di estensione degli schemi previdenziali e delle tutele sociali, di graduale riduzione dell’intervento dello stato insieme a nuove possibilità e disponibilità hanno offerto l’opportunità della nascita e crescita di un ceto medio a cui guardano con interesse diversi operatori economici.

Alcune analisi stimano che i 5 milioni di famiglie relativamente benestanti esistenti nel 2000, ovvero con redditi compresi tra i 75mila e i 280mila yuan (€10mila-€38mila), siano ora 225 milioni; a queste dovrebbero aggiungersene altre 50 milioni entro il 2020. Caratteri distintivi della nuova middle class cinese risultano la residenza nei centri urbani, un elevato livello di istruzione, la proprietà della casa di abitazione e la giovane età.

Nel complesso, una combinazione di elementi di benessere spesso sconosciuti alle generazioni precedenti se si considera che fino agli anni ’70 la proprietà privata era proibita, solo una minoranza disponeva di risorse personali e la disuguaglianza era pressoché inesistente (l’indice di Gini era pari a 0,3% nel 1980).

Alla ricerca di nuovi clienti molti brand del lusso hanno largamente investito in Cina prima che il rallentamento economico e il deprezzamento della valuta asiatica mettessero sotto pressione la spesa per questa tipologia di generi (nel 2015, per la prima volta in dieci anni, gli acquisti di beni di lusso sono diminuiti con prospettive altrettanto sfavorevoli per i prossimi anni).

Nonostante il generale miglioramento delle condizioni di vita le disparità rimangono elevate: l’indice di disuguaglianza ha raggiunto lo 0,49% e si stima che l’1% delle famiglie detenga oltre 1/3 della ricchezza complessiva mentre il 25% più povero meno del 2%.1 Oltre alla zona e alla regione di residenza (centro urbano o agricolo/zone costiere o interne), che incidono rispettivamente per il 10% e per il 23% sulla variazione del patrimonio delle famiglie cinesi, la proprietà dell’abitazione gioca un ruolo determinante nella disomogenea distribuzione della ricchezza considerato che rappresenta oltre il 70% degli asset complessivi.

Il diverso livello di famiglie proprietarie (maggiore nelle aree urbane) e il diverso andamento dei prezzi delle abitazioni in un paese così vasto contribuiscono ad amplificare le divergenze. Sull’andamento del mercato immobiliare pesano anche le indicazioni delle autorità centrali che attraverso misure di allentamento o restrizione creditizie e fiscali favoriscono o meno una crescita delle quotazioni. È per questo che i prezzi delle abitazioni offrono indicazioni contrastanti: dopo un 2015 di quotazioni in discesa, nell’ultimo anno nei principali centri medio-grandi si riscontra in prevalenza un tendenziale aumento delle quotazioni (ad ottobre in 65 città sulle 70 soggette a rilevazione) tanto per le nuove costruzioni quanto per le abitazioni usate.

Nel complesso l’incoraggiamento ad acquistare la casa di proprietà ha determinato un aumento dell’indebitamento delle famiglie che sia per la rapidità di innalzamento sia per il livello raggiunto hanno indotto la banca centrale a fare pressione sugli istituti di credito per rendere più selettiva l’erogazione di nuovi mutui. Nel I trimestre dell’anno i prestiti complessivi al settore famiglie sono arrivati a 28 trilioni di yuan (+17%) con i mutui a 16,8 trilioni di yuan, più del 30% rispetto ad un anno prima. Nel 2015 le passività delle famiglie sono state pari al 38% del Pil, una quota che il Fondo monetario internazionale prevede possa arrivare al 58% per l’inizio del prossimo decennio.

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