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CICLISMO – Oggi parte il Tour con la grande incognita del caso Armstrong

Mentre suo fratello Frank stava meditando sulla brutta figura rimediata al Giro d’Italia, Andy Schleck teneva alto l’onore della famiglia ricevendo dalle mani degli organizzatori del Tour la maglia gialla come vincitore dell’edizione 2010 in seguito alla squalifica per doping di Alberto Contador. Era il 30 maggio scorso. Schleck era l’uomo da battere anche per la Grande Boucle di quest’anno che scatterà oggi in Belgio con un cronoprologo di 6,4 km. nelle strade di Liegi. Sorrideva il giovane campione lussemburghese, sorrideva Christian Prudhomme, patron del Tour, che sigillava per sempre l’ennesima vicenda di doping che di fatto, ancora una volta al Tour, annullava a tavolino i risultati del campo o meglio della strada. A distanza di appena poche settimane non sorride più Andy Schleck, costretto a dare forfait al Tour per una caduta durante il Giro del Delfinato che gli ha procurato la frattura dell’osso sacro.

Trema anche Prudhomme non tanto perché la corsa gialla si trova privata, dopo Contador, anche del suo migliore rivale, cioè Schleck, quanto per le notizie che Oltreoceano stanno investendo Lance Armstrong, con l’Usada, l’Agenzia americana antidoping che formalmente accusa il sette volte vincitore del Tour di pratiche proibite. Quindici pagine che potrebbero sconvolgere e riscrivere la storia del ciclismo degli ultimi quindici anni. L’agenzia, come è noto, ha affermato che alcuni dei campioni di sangue prelevati ad Armstrong tra il 2009 ed il 2010 sarebbero “perfettamente coerenti con la manipolazione del sangue, compresa quella attraverso l’uso di Epo e/o di trasfusioni di sangue”. Ricorso a prodotti dopanti che risulterebbe esteso a un periodo di anni, dal 1998 al 2009, un decennio in cui il cow-boy texano dopo aver vinto il cancro ha letteralmente dominato la scena ciclistica mondiale infilando sette vittorie consecutive al Tour. Armstrong per il momento è stato bandito con effetto immediato da tutte le competizioni, anche dalle gare di triathlon – sarebbe dovuto essere la grande star dell’Iron Man di Nizza del 23 giugno – gare nelle quali si cimenta da quando si è ritirato definitivamente, nel 2011, dal ciclismo professionistico.

La notizia era nell’aria, malgrado il governo americano avesse chiuso, nel febbraio scorso, un’indagine penale di oltre due anni, condotta dal capo della Foda Jeff Novitzky, al termine della quale non erano state riscontrate irregolarità. Tra i grandi accusatori di Armstrong c’è il suo ex compagno di squadra alla US Postal, Floyd Landis, che ha indicato in Lance il maestro che gli ha insegnato a doparsi. Ma se Landys non evitò di essere pescato positivo tanto da vedersi tolta a tavolino la vittoria del Tour 2006 (assegnata al secondo classificato, lo spagnolo Oscar Pereiro), Armstrong è stato controllato per oltre 500 volte superando sempre tutte le forche caudine dell’antidoping. Del resto un malato di cancro ai testicoli, con un’operazione al cervello per bloccare la metastasi, qualche cura particolare l’avrà pure fatta che magari viola il rigido codice dell’antidoping. Con il buon senso dell’uomo comune c’è anche da chiedersi come uno che ha visto la morte in faccia, appena ripresa la bici, abbia l’incoscienza di sottoporsi a trattamenti che sulla salute, stando alla letteratura medica, possono avere effetti devastanti come l’epo che raggruma il sangue come fosse una mattonella.

Angelo o demone? Superman o superfarmacista dalle pozioni miracolose? L’Usada non è una confraternita di matti e incompetenti. L’agenzia elenca una serie di persone che risultano coinvolte in un sistema perverso messo in piedi nel 1998 e sfruttato per aggirare le leggi dello sport almeno sino al 2010. Si parla del “diavolo” italiano Michele Ferrari, dello “stratega” belga Johan Bruyneel, del “preparatore” svizzero Jose “Pepi” Martin, dei “dottori” spagnoli Pedro Celaya e Luis Garcia del Moral. Insomma: una multinazionale delle pratiche illecite e bandite dalle leggi sportive di tutto il mondo. Di certo Armstrong, se ha superato tutti i controlli cui è stato sottoposto, non è mai riuscito a superare ed abbattere l’alone di sospetti che il circo delle due due ruote ha sempre alimentato di fronte alla sua escalation di vittorie. Vittorie che ne hanno fatto un fenomeno unico per la sua storia umana nel campo non solo del ciclismo ma dello sport mondiale. Ecco perché le accuse dell’Usada sono state accolte con malcelata soddisfazione da chi non aspettava questo momento per dire: “Io l’avevo detto….”.

Il ciclismo è da anni abituato all’autoflagellazione e quanto più è famoso il flagellato (si veda il caso di Pantani, trasformato in un attimo da eroe a mostro da cacciare agli inferi) tanto più grande è il piacere di dargli addosso. Anche sui giornali italiani vi è stata la corsa al dalli untore, puntando il dito soprattutto sui legami di Armstrong con il chiacchierato dottor Ferrari (vi sarebbe anche un assegno di 450mila dollari versato dal texano al medico italiano). Non c’è dubbio che il dossier raccolto sul conto di Armstrong è ricco e dettagliato. La lotta al doping è sacrosanta ma le punizioni devono essere il più possibile tempestive. Ne va della credibilità del ciclismo, di cent’anni di Giri e di Tour.

Perché è giusto mettere sotto la lente l’attività del dottor Ferrari, su cui da tempo è aperta un’inchiesta condotta dal pm di Padova, Matteo Belletti, ma quando, per rafforzare l’ipotesi della sua attività illecita, si sottolinea come questo medico sia stato l’allievo prediletto di Francesco Conconi, il professore – come ha scritto il Corriere della Sera – caro al nostro Coni, accusato di praticare “doping di Stato” negli anni 80 e 90 nel suo centro di Ferrara, si rischia di finire con il mettere in dubbio anche i successi di Francesco Moser, visto che il campione trentino si è affidato ciecamente alle terapie di Conconi per trasformarsi da buon corridore a campione capace di vincere Giro, mondiale e tre Roubaix, oltre che abbattere il record dell’ora fino allora detenuto da Eddy Merckx.

Coppi e Bartali parlavano pubblicamente di ricorso alla bomba che allora era un mix di amfetamine. Anquetil difendeva la necessità di assumere farmaci e praticare trasfusioni in una disciplina sportiva tra le più massacranti e lo stesso generale De Gaulle non gli diede mai contro. Che facciamo? Annulliamo, di fronte a simili ammissioni, anche i successi di Coppi, Bartali e Anquetil? E’ giusto attrezzarsi con gli strumenti più sofisticati tecnologicamente per controbattere e smascherare le droghe evolute dell’ultimissima generazione, ma gli esiti e la relativa punizione in caso di frode devono avvenire nei tempi più rapidi.

Ora se clamoroso è stato il ritardo con cui si è decisa la squalifica di Contador, arrivata dopo oltre un anno e mezzo dall’analisi effettuata al Tour de France del 2010, le accuse dell’Usada contro Armstrong arrivano oggi quando il texano, ormai quarantenne, si è ritirato da tempo dalle gare. Inchiesta che partono addirittura dagli ultimi anni del secolo scorso, investendo un periodo durante il quale Armstrong è stato controllato molte centinaia di volte senza che gli venisse mai contestato nulla. Ed è qui che le autorità preposte al doping hanno forse sbagliato. Riandando a certi episodi sospetti appare chiaro che si sia usato con il texano, anche perché era appena guarito dal cancro, un atteggiamento benevolo, ben diverso da quello odierno dell’Usada. Ad esempio al termine della tappa Montaigu – Challans nel Tour 1999, il primo vinto da Armstrong, quando nel test del corridore Usa risultò un glucocorticoide (triamcionolone acetonide). Armstrong si difese dicendo di aver seguito le indicazioni del medico per curare uno sfogo sul soprassella con una pomata (Cemalyt) . Ma secondo la successiva testimonianza di Emma O’Reilly, una collaboratrice ai tempi dell’Us Postal, la realtà sarebbe stata diversa: il texano si sarebbe sottoposto ad una ”terapia” di corticoidi due-tre settimane prima e l’ultima iniezione avrebbe causato la positività. L’Uci lo assolse perché l’assunzione venne giustificata da una prescrizione medica (fornita a posteriori, ma comunque accettata dagli organismi giudicanti).

A proposito del Tour del 1999, nell’agosto del 2005, quando ormai Armstrong aveva annunciato il suo ritiro dopo aver vinto il settimo Giro di Francia, il quotidiano L’Equipe rivelava con tanto di documenti inequivocabili, che tracce di Epo erano state ritrovate in ben sei analisi dell’americano durante quella Grande Boucle. Se si doveva fermare Armstrong, lo si doveva fare allora. Del resto quelli del Tour, pur vantandosi di essere i più severi paladini del ciclismo pulito, non si accorsero nemmeno che un altro vincitore della Grande Boucle, Bjarne Riis nel 1966, era pieno di Epo come rivelò lo stesso corridore danese quando ormai però il reato sportivo era prescritto. Lo stesso potrebbe accadere per Armstrong.

Nel caso peggiore di revoca di tutte le sue vittorie, Prudhomme dovrebbe assegnare ex post sette maglie gialle ai secondi arrivati dal 1999 al 2005: in particolare Jan Ullrich, che qualche pasticca l’ha pur presa anche lui, finirebbe con trovarsi vincitore a tavolino di altri tre Tour ( 2000, 2001 e 2003) dopo averne conquistato uno sulla strada nel 1997. Nell’albo d’oro sempre più fasullo del Tour entrebbero anche lo svizzero Alex Zulle (1999), lo spagnolo Josepha Belokj (2002), Andreas Kloden (2004) e il nostro Ivan Basso (2005). Una follia. Ecco perché la giustizia sportiva per essere veramente tale dovrebbe rispettare il fattore tempo. Altrimenti è il caos. Prudhomme e gli organizzatori vivono un’altra vigilia di Tour tra le più agitate. Sembra di essere tornati a quella del 2006 quando esplose lo scandalo dell’Operacion Puerto, che coinvolse Basso, Ullrich e Vinokourov, appiedati prima del via.

Il caso Armstrong, comunque si risolva, mina la credibilità del ciclismo e in particolare del Tour con troppe maglie gialle che sanno di cartone, un’autentica spada di Damocle che si allunga sulla sulla grande corsa a tappe francese che parte oggi con il cronoprologo di Liegi. Grande assente Andy Schleck, questo Tour, il 99esimo della storia, vede Vincenzo Nibali come possibile terzo incomodo nella sfida tra il gran favorito, l’inglese Bradley Wiggins, e Cadel Evans, il vincitore dell’anno scorso. Con i cento e più chilometri di cronometro Wiggins, con Fabian Cancellara il piu forte cronoman oggi in circolazione, parte con un vantaggio misurabile in cinque-sei minuti su Nibali e di almeno un paio di minuti su Evans. Il britannico quest’anno ha vinto tutte le corse a tappe di una settimana cui ha partecipato: la Parigi-Nizza, il Giro di Romadia e il Delfinato. Non più giovanissimo (ha 32 anni), grande pistard dell’inseguimento, fino a all’anno scorso Wiggins non aveva vinto niente (o quasi) nelle corse su strada. Come del resto quell’Hesjedal che a sorpresa ha riportato l’ultimo Giro d’Italia e che al Tour è atteso per una conferma. Nomi fino a poco tempo fa quasi sconosciuti e oggi gettonati anche dai bookmakers a riprova di quanto sia a corto di campioni il ciclismo attuale, appiedato oltretutto da squalifiche eccellenti.

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