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Brics: aderisce anche il Vietnam, il principale alleato di Pechino contro i dazi

Pixabay

Prosegue a ritmo spedito la campagna acquisti dei Brics, gli ex emergenti che ormai sono un gruppo consistente di Paesi dal peso economico e geopolitico sempre maggiore. L’ultimo “colpo” è l’adesione ufficiale del Vietnam, da poco comunicata dal membro che ha la presidenza di turno quest’anno e cioè il Brasile, che ospiterà il vertice annuale tra poche settimane a Rio de Janeiro. L’ingresso del Paese del Sud-Est asiatico nel club degli “altri”, vale a dire del sempre più nutrito asse anti-occidentale che ormai vale almeno il 40% del Pil globale, più del G7, non è una notizia da poco: il Vietnam ha una popolazione di quasi 100 milioni di abitanti ed è stabilmente membro del G20, cioè è tra i venti Paesi più industrializzati del pianeta, con una economia che cresce a ritmi rapidi e sostenuti (+7% nel 2024, superando le aspettative dello stesso governo).

Povertà sradicata e sviluppo sostenibile

Inoltre Hanoi ha fatto negli ultimi decenni notevoli progressi nella riduzione della povertà, portando la percentuale della popolazione che vive in povertà dal 58,1% nel 1992 al 4,8% nel 2020, e si è ormai affermato come uno dei principali produttori mondiali di riso e di altri prodotti agricoli, come caffè, gomma e tè, oltre che uno dei più impegnati nel proporre uno sviluppo sostenibile, attraverso gli investimenti in tecnologia e in particolare sull’idrogeno come fonte di energia alternativa e pulita. Ma soprattutto, l’adesione del Vietnam nei Brics consolida l’alleanza con la Cina in funzione anti-Usa: per aggirare i pesantissimi dazi annunciati da Washington, oltre a cerare di rallentarli cercando faticosi e incerti accordi con la Casa Bianca, Pechino si è immediatamente rivolta al partner asiatico, mettendo in pratica il cosiddetto “trasbordo commerciale” e cioè il passaggio delle merci destinate all’Occidente attraverso il Vietnam, per dribblare le tariffe.

L’asse con Pechino

La mossa ha irritato non poco gli Stati Uniti, tanto che Peter Navarro, uno dei principali consiglieri di Donald Trump, ha definito il Vietnam “una colonia della Cina”. Tra i due litiganti, comunque, il terzo gode e la guerra commerciale sta giovando molto ad Hanoi, che ora vanta un avanzo commerciale nei confronti degli Usa di 123,5 miliardi di dollari, mentre sette anni fa era non arrivava ai 40 miliardi. “Non ci sono vincitori nelle guerre commerciali”, aveva detto il presidente cinese Xi Jinping ad aprile, quando Washington aveva annunciato dazi al 145% per i prodotti provenienti da Pechino. Ma se non si può vincere, intanto è bene non perdere e quindi Xi era volato in Vietnam per blindare una quarantina di accordi strategici con il Vietnam, in particolare – guarda caso – nella supply chain. Hanoi è forse il principale polo industriale e logistico del Sud-Est asiatico e rappresenta proprio lo snodo tra Cina e Usa: importa quasi solo da Pechino e esporta quasi solo verso il Nordamerica.

L’ingresso nel “club” anti-Occidente

Al punto che i dati quasi coincidono: nei primi tre mesi di quest’anno il Vietnam ha comprato 30 miliardi di dollari di merce dalla Cina e ne ha venduti 31,4 miliardi agli Stati Uniti. Hanoi ora fa parte dei Brics, ma solo come partner. Oggi i Brics sono passati dai cinque Paesi che rappresentavano l’acronimo della sigla (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) a undici membri effettivi, con l’aggiunta di Egitto, Etiopia, Indonesia, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi. I partner sono un’altra decina di Paesi “amici”: prima della new entry Vietnam, nel club erano già stati coinvolti Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Malesia, Nigeria, Tailandia, Uganda e Uzbekistan. Se alcuni di questi Paesi sembrano poco più che esotici, non si può non notare ad occhio nudo il peso economico di realtà come Indonesia (che entro 20 anni avrà il quarto Pil al mondo), Egitto e Nigeria. Senza contare il peso militare, con il recente ingresso di un’altra potenza nucleare come l’Iran.

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