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Borse Europa e Usa, primo semestre mozzafiato: in Ue tutti pazzi per banche e difesa, negli Stati Uniti per tech e AI. E il dollaro?

Pixabay

L’ottovolante più spericolato non è nulla in confronto a ciò che è stato il primo semestre 2025 per i mercati negli Stati Uniti e in Europa: certamente non ci hanno fatto soffrire di noia. A tenere le fila dello spettacolo è stato Donald Trump che, ottenuta la presidenza degli Stati uniti a gennaio ha iniziato fin da subito a influenzare direttamente o indirettamente tutti i listini azionari mondiali.

Partiti tutti col botto e mantenutisi in salita costante nei primi due mesi, hanno ballato un po’ a marzo per poi tracollare ad aprile, in coincidenza con il “Liberation Day” di Trump sui dazi. Infine, un maxi-rimbalzo a maggio, poi ancora tensioni per l’escalation del conflitto in Medio Oriente. E se ancora non bastasse, sullo sfondo restano le tensioni commerciali, un dollaro in caduta libera, un oro mai visto prima, i timori per i rifornimenti di petrolio e la traiettoria incerta dei tassi di Bce e Fed, quest’ultima anche minacciata nella sua indipendenza sempre da Mister Tycoon che vorrebbe licenziare il presidente Jerome Powell.

La fine del semestre ha visto un bilancio sostanzialmente positivo. I listini azionari hanno registrato performance solide, con l’indice Msci World in crescita dell’8,6% da inizio anno e del 14,4% su base annua, a testimonianza di un contesto in miglioramento rispetto al rallentamento del 2024. Ma sulle due sponde dell’Atlantico, oltre a performance molto diverse, sono da rilevare anche interessi diversi da parte degli investitori: tutti pazzi per le banche e la difesa nel Vecchio Continente, mentre lo shopping a stelle e strisce si chiama tech e Intelligenza artificiale.

Sono le banche le regine delle Borse europee

Gli investitori delle borse europee non si possono certo lamentare dell’andamento di questa prima metà dell’anno, che ha dato loro molte soddisfazioni. A distinguersi in particolare sono l’indice spagnolo Ibex che ha guadagnato il 21,3%, l’indice Dax di Francoforte, che ha messo a segno un +20,1% nei primi sei mesi dell’anno (+30,7% su base annua) e il nostro Ftse Mib (+16,4%). Più indietro il Ftse 100 di Londra (+7,9%) e il parigino Cac (+4,8%).

Il saldo semmai cambia di colpo se si tiene conto solo del trend dell’ultimo mese, al termine del quale il bottino delle Borse europee è lieve in perdita, da Parigi e Madrid (entrambe a -1,1% a giugno) fino a Milano (-0,7%), Francoforte (-0,3%) e Londra (-0,1%). Si tratta di un mese nel quale le vendite degli investitori hanno colpito in modo altalenante molti dei principali settori dell’economia del Vecchio Continente: in “rosso” auto, banche, beverage e tlc, positivi invece costruzioni, oil, tech e utility.

Ma lo scettro del semestre va certamente alle banche in europa, oltre che al settore della difesa. L’indice Stoxx 600 European Banks segna un rialzo del +28% al termine del primo semestre 2025 ed è la migliore performance a livello di benchmark di settore nel vecchio continente, con il sotto-indice delle banche italiane elaborato da Ftse è cresciuto del +31%. Gli investitori si chiedono se le banche saranno in grado di replicare questo eccellente risultato anche nel secondo semestre alla luce del nuovo scenario. Gli esperti di Bloomberg Intelligence segnalano anche per i i bilanci delle banche europee i timori le tensioni geopolitiche, il taglio dei tassi da parte delle banche centrali, i dazi americani. L’insieme di questi fattori negativi potrebbe portare a “un’inversione di tendenza nel ciclo positivo degli utili degli istituti di credito”, mettendo in discussione la tenuta dell’indice Stoxx 600 European Banks che dalla fine del 2022 ad oggi ha registrato un rally del +135%, tornando su livelli che non vedeva da 17 anni.

Un sostegno alla attuale quotazione delle banche arriva dalla solidità patrimoniale, con un coefficiente Cet1 medio superiore al 14%, dalla propensione all’incremento dei buyback (riacquisto di azioni proprie) e dalla serie di operazioni di fusione e acquisizione in corso in diversi Paesi europei.

Inoltre, con la riduzione dei tassi da parte delle banche centrali, gli istituti di credito hanno accelerato sui ricavi da trading e da commissioni. Il calo dei “tassi d’interesse e l’incertezza geopolitica rappresentano dei venti contrari a breve termine per gli oltre 600 miliardi di euro di ricavi degli istituti di
credito europei” dicono gli analisti. I depositi dei clienti delle banche europee, che superano i 13mila miliardi di euro, potrebbero essere un “catalizzatore per la crescita dei volumi nei prossimi anni” con una accelerazione nella concessione di prestiti e mutui e puntando sulla gestione del risparmio.

In questo contesto in rapida evoluzione, le banche europee affrontano anche il tema della remunerazione degli azionisti. I 26 principali istituti di credito dell’Ue sono pronti a riacquistare 46 miliardi di euro di azioni proprie quest’anno e 48 miliardi nel 2026. Sul fronte dei dividendi, invece, le banche europee dovrebbero distribuire in media tra il 50-70% degli utili fino al 2027. I risultati del secondo trimestre “consentiranno probabilmente di fare più luce sull’andamento delle cedole. Prevediamo comunque che la maggior parte degli istituti di credito manterrà le proprie previsioni per il 2025”, concludono gli analisti. Terminato il secondo trimestre dell’anno, gli istituti di credito si preparano a pubblicare i conti in arrivo a partire da metà luglio.

Quest’anno le borse hanno contato anche sulla spinta dei titoli della difesa, sempre più tonici da quando la Commissione e la Nato hanno annunciato nuovi maxi investimenti nel settore.

A Wall Street sono ancora i tech a mostrare resistenza

Più moderati ma comunque positivi i mercati statunitensi a fine semestre nonostante abbiano anch’essi visto momenti di grandi crolli, visti a posteriori, come ottime occasioni per rientrare. Del resto da tempo si diceva che i listini Usa e in particolare i titoli tecnologici avevano corso troppo e molti si attendevano che si sgonfiassero. Nonostante i cali vertiginosi subiti, il bilancio di fine semestre vede il Nasdaq 100 avanzare del 7,9%, mentre l’S&P 500 cresce del 5,5%, sostenuto da trimestrali solide e aspettative di allentamento della politica monetaria della Federal Reserve entro l’autunno.

L’interesse per i titoli legati all’intelligenza artificiale, pur non eguagliando i picchi del 2023, è restasto forte. Ieri, ultimo giorno del semestre, il Nasdaq 100 ha messo a segno il suo quarto record storico consecutivo, mettendo in rilievo il ruolo centrale delle aziende legate all’innovazione e alla tecnologia: il settore oggi pesa nell’indice poco più del 50%, seguito dal settore dei servizi di comunicazione 15,43%, beni di consumo ciclici 13,90. Le stime di crescita degli utili per il 2025 parlano chiaro: +17,6% per il Nasdaq 100 contro +11,5% per l’S&P 500 e +7,1% per l’S&P MidCap.

Il crollo del dollaro e l’impennata dell’euro

Ma forse in questo semetre ciò che ha più stupito anche per le ripercussioni che potrebbe avere in futuro, è la continua, persistente caduta del dollaro rispetto a tutte le principali valute mondiali fino a circa il 10% a fine giugno.

Secondo alcuni analisti il biglietto verde è sulla buona strada per il più grande calo del primo semestre dall’inizio degli anni ’70. Ma più in generale osservatori e investitori si stanno domandando quale sia o sarà il ruolo del biglietto verde e se si sia concluso l’eccezionalismo americano che aveva portato l’area dollaro a dominare i portafogli dei grandi investitori con un peso specifico superiore al 70%.

Il trend al ribasso, che ha origini ben più lontane, nelle ultime settimane ha avuto un’accelerazione. Da una parte per le preoccupazioni per la possibile lievitazione del debito Usa a causa del disegno di legge di Trump in discussione al Senato Usa. Dall’altra dalla prospettiva di un taglio dei tassi da parte della Fed. Sull’altro piatto della bilancia c’è l’euro che invece ha continuato la sua corsa al rialzo, raggiungendo 1,1808 dollari, il livello più alto da settembre 2021, in rialzo del 14% rispetto alla fine del 2024. Nel contesto del 2025 in cui “tutti odiano il dollaro”, l’euro e gli asset europei in generale potrebbero assumersi la responsabilità di trasformarsi in vere e proprie calamite per la liquidità degli investitori. L’euro stesso ha guadagnato, pur se in misura minore, anche rispetto alle altre valute: il +3,5% sia rispetto alla sterlina sia allo yen giapponese, mentre ha pareggiato il suo valore rispetto al franco svizzero e alla corona norvegese. Un’ulteriore pressione sul dollaro potrebbe arrivare da un possibile taglio dei tassi Fed già in autunno, in anticipo rispetto alle previsioni precedenti.

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