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Bitcoin: rischi alti, ma ora Fbi riesce a violare le blockchain

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

“Generali non ha investito in bitcoin e neppure io l’ho fatto come cittadino”. Philippe Donnet, numero uno della compagnia del Leone, così risponde stamane nel corso del “Financial Times Managing Assets for Insurers”. “Quando si guarda all’economia globale – spiega – è già difficile capire cosa succederà su tassi ed inflazione, che sono concetti basilari. Per le criptovalute è ancora più complesso”. Ma lo stesso Donnet aggiunge che il fenomeno è ormai così diffuso che un player del calibro delle Generali non può limitarsi ad ignorarlo. “Dobbiamo capire. Non prenderemo il rischio di investire in criptovalute perché non riusciamo a capire quali siano i rischi associati”.    

Le perplessità di Donnet ben riflettono le incertezze della grande finanza, frenata dal pericolo di truffe, azioni criminali o anche solo dall’estrema volatilità dei prezzi (il bitcoin ha lasciato sul terreno il 40% dai massimi). Ma, in cambio, restìo a trascurare gli sviluppi di un mercato che si sta imponendo a livello globale. Negli ultimi mesi il sistema ha registrato numerosi successi: Paypal e Square hanno iniziato ad accettare pagamento in bitcoin; la piattaforma Coinbase, oggi quotata a Wall Street con una capitalizzazione di 47 miliardi di dollari (la metà circa del debutto), permette di comprare e vendere criptovalute alla luce del sole. E nello scorso week end, riferisce il New York Times, a Miami si è tenuta una convention di investitori cui hanno partecipato 12 mila persone, compreso il ceo di Twitter Jack Dorsey e testimonial come Flouyf Mayweather Junior, ex campione dei massimi.  

Nel corso della conference il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, ex imprenditore di origine mediorientale, ha anticipato una proposta di legge per far diventare il bitcoin il mezzo legale di pagamento del Paese che, in pratica, campa delle rimesse degli emigrati in Usa, circa un quarto dei 6 milioni di cittadini.  Lo stesso Bukele ha presentato un video girato all’interno di un vulcano salvadoregno, oggi spento.  “I nostri ingegneri – ha detto –  hanno scavato un pozzo consentendo di liberare nell’aria vapore acqueo ad alta pressione che può fornire energia pulita alle miniere di Bitcoin”.

Tante notizie, insomma, ma la svolta, clamorosa, è arrivata lunedì sera nientemeno che dall’Fbi. Nel giro di pochi giorni i federali hanno identificato 63,7 bitcoin sui 75 (cioè 2,3 milioni di dollari su 4,3 milioni) pagati dai vertici di Colonial Pipeline, l’oleodotto Usa paralizzato dagli hackers, sotto forma di riscatto. L’Fbi non ha rilasciato troppi particolari su come è stato possibile recuperare il bottino, che, finora, sembrava finito nelle tenebre del mondo dark, terra di nessuno vietato alle autorità.   

Quel che si sa è che è stato possibile tracciare, in tempi brevi, il percorso effettuato dai bitcoin attraverso almeno 23 conti elettronici sospetti prima di approdare al malloppo controllato dai pirati di Darkside. “Le stesse qualità che rendono il Bitcoin così attraente per la malavita – si legge nel servizio – cioè la possibilità di trasferire i denari senza autorizzazione bancaria, possono essere sfruttate a dovere dai rappresentati della legge”.   Il percorso del Bitcoin, insomma, è tracciabile, come già si sapeva, salvo che si dava per scontato che il “pedinamento” elettronico fosse destinato a fermarsi davanti al muro invalicabile delle blockchain.

Al contrario, l’Fbi si è rivelato capace ad infrangere la barriera facendo saltare mura ritenute inviolabili. Anzi, la ricerca si è rivelata particolarmente facile: invece di spulciare tonnellate di documenti bancari, con un forte dispendio di uomini per mesi, è stato sufficiente individuare i codici per arrivare alla soluzione dell’enigma. Come? Per ora è top secret. Quel che si sa è che l’operazione non rappresenta un successo isolato. A gennaio l’Fbi ha interrotto l’attività di Netwalker, un ricattatore specializzato nel boicottare le amministrazioni locali (mezzo milione di dollari recuperato). Poi è toccato agli hackers nord-coreani (280 portafogli sospetti violati) e a quelli cinesi (28 milioni individuati in 230 wallets).  E così via. Senza eccessiva pubblicità. La favola del bitcoin che sfugge alla giustizia ed al fisco fa comodo anche agli 007.    

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Categories: Finanza e Mercati