Dopo il weekend lungo per la Festa nazionale del 1° agosto, la Borsa di Zurigo riapre col botto ma in senso negativo. Alla riapertura di lunedì, l’indice Smi ha segnato un brusco calo dell’1,79%, unico listino europeo in rosso in una giornata in cui gli altri mercati tentano un rimbalzo dopo la disfatta di venerdì. La Svizzera, protetta venerdì dalla chiusura per festività, è stata travolta all’improvviso da una doppia ondata di turbolenze provenienti dagli Stati Uniti.
Da un lato l’annuncio del presidente Donald Trump sull’imposizione di dazi record del 39% contro Berna, dall’altro un attacco frontale alle multinazionali farmaceutiche, tra cui spiccano proprio i due pilastri elvetici: Novartis e Roche.
Trump affonda su Berna, dazi al 39% su export svizzero
Il colpo è arrivato giovedì sera, quando Trump ha firmato un decreto che impone tariffe doganali del 39% su una vasta gamma di prodotti svizzeri. La motivazione ufficiale è il deficit commerciale con la Confederazione, che secondo il presidente sarebbe salito a 40 miliardi di dollari. “È enorme”, ha detto senza giri di parole, liquidando ogni tentativo di dialogo diplomatico.
A Berna la reazione è stata di shock. Il Consiglio federale ha convocato una riunione straordinaria, ribadendo l’impegno per una soluzione negoziata. Ma intanto nel Parlamento cresce la frustrazione. “Non è chiaro cosa vogliano gli Stati Uniti da noi”, ha dichiarato un deputato svizzero al Financial Times, esprimendo il sentimento di una nazione trattata alla stregua di uno Stato canaglia.
In effetti, l’aliquota del 39% supera anche quella imposta alla Serbia (35%) ed è oltre il doppio rispetto al 15% concordato con l’Unione Europea. Una mossa che ha rovinato la festa nazionale svizzera e che molti analisti bollano come arbitraria, infondata e politicamente motivata.
Farmaceutica sotto scacco, Novartis e Roche rischiano il colpo doppio
A pagare il prezzo più alto sono proprio le due grandi protagoniste del pharma elvetico. Novartis e Roche non solo sono tra le aziende più esposte al mercato americano, ma si trovano anche nel mirino diretto della Casa Bianca. Per entrambe si prospetta un doppio impatto: quello dei dazi commerciali e quello della lettera (una sorta di ultimatum) firmata da Trump, con cui si chiede di ridurre drasticamente i prezzi dei farmaci venduti negli Stati Uniti.
Il comparto farmaceutico rappresenta circa la metà delle esportazioni svizzere verso l’America, con un valore di oltre 30 miliardi di dollari solo nel 2023. Una quota che ora rischia di essere pesantemente ridimensionata.
Il diktat di Washington, Big Pharma costretta a tagliare i prezzi
Nella lettera inviata a 17 colossi del settore, tra cui anche Pfizer, Sanofi, MSD e AstraZeneca, Trump ha dato 60 giorni di tempo per allineare i prezzi dei medicinali ai livelli più bassi praticati nei Paesi Ocse. In caso contrario, ha minacciato importazioni parallele dai mercati più economici e nuove misure regolatorie.
La richiesta rappresenta una rottura rispetto all’atteggiamento storicamente favorevole del Partito Repubblicano nei confronti del settore privato. E secondo Reuters, ha già generato forte preoccupazione nei piani alti delle multinazionali, che temono un crollo dei margini nel loro mercato più redditizio.
La Svizzera teme una fuga delle imprese
Interpharma, l’associazione che rappresenta 23 aziende farmaceutiche in Svizzera, si dice preoccupata ma cauta. “Al momento non abbiamo segnali di partenze”, ha dichiarato il portavoce Georg Därendinger, “ma se le minacce diventassero fatti, alcune imprese potrebbero rivalutare la propria presenza”. Il rischio è quello di una perdita d’attrattività della piazza elvetica, con investimenti e ricerca che potrebbero frenare bruscamente.
La pressione su Novartis e Roche è doppia. Oltre alla richiesta sui prezzi, restano in bilico gli effetti indiretti dei dazi: anche se i farmaci, almeno per ora, non fanno parte delle categorie direttamente colpite dalle nuove tariffe, l’incertezza è totale.
Gli effetti sui mercati, crollano i titoli pharma a Zurigo
Non sorprende quindi che il comparto farmaceutico sia stato il più colpito alla riapertura della Borsa. Roche ha aperto in rosso perdendo oltre l’1,3, Novartis ha lasciato sul terreno l’1,79%, Alcon l’1,59%. Questi tre titoli da soli rappresentano quasi un terzo della capitalizzazione dell’indice Smi.
Le vendite hanno colpito anche altri nomi pesanti del listino elvetico: Richemont perde l’1,16%, Swatch, -0,72% Kühne+Nagel il 1,13%, Ubs il 0,59%. A contenere i danni solo Swisscom, in rialzo del 2,56%, unica in territorio positivo.
Il contagio possibile in Europa, Italia a rischio slittamenti
L’effetto Trump non si ferma alla Svizzera. Le richieste di abbassare i prezzi negli Stati Uniti potrebbero spingere le aziende farmaceutiche a compensare altrove. In Europa, dove i prezzi sono già regolati e i margini più sottili, il rischio è che vengano rallentati i lanci dei nuovi farmaci o riviste le strategie di accesso.
In particolare, potrebbero cambiare i criteri di launch sequencing – cioè l’ordine in cui un farmaco viene messo in commercio nei vari Paesi – e del price referencing, il meccanismo che lega i prezzi locali a quelli internazionali. L’Italia, per via dei tempi lunghi e delle politiche di rimborso stringenti, rischia di finire in fondo alla lista.
Anche il franco scricchiola, svanisce la certezza elvetica
Nemmeno la valuta svizzera è uscita indenne dalla bufera. Il franco, tradizionalmente rifugio nei momenti di incertezza, ha mostrato segni di debolezza. L’euro guadagna lo 0,4%, salendo a 0,9348 franchi, mentre il dollaro si è rafforzato a 0,8087. Un segnale che anche la stabilità elvetica non è più data per scontata.