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Auto, F1: il fallimento di Schumacher

Lewis Hamilton alla Mercedes. Sergio Perez alla McLaren. La Formula 1 del 2013 sbatte la porta in faccia al passato.Un passato che ha già una sua cornice dorata nei libri di storia: Schumi, la Ferrari, l’imbattibilità, il mito. E mito è stato: bisogna darne atto a tutti coloro che l’hanno alimentato, in primis al fenomeno di Kerpen. Che però oggi ha quasi 44 anni, con riflessi e colpo d’occhio e autofiducia miracolosi per la sua età biologica, ma forse non più sufficienti per quella giostra acrobatica a 300 all’ora che la Formula 1 è e continua a essere. E oggi, sulla scorta delle dieci righe di comunicato con cui la McLaren ha serenamente tracciato un rigo nero sulla sua storia recente (Hamilton ha debuttato nei GP nel 2007; nel 2008 campione del mondo; quest’anno ancora nemico numero 1 di Alonso per il titolo), è lecito chiedersi: ma la Mercedes e Bernie Ecclestone, a Schumacher ancora capace di vincere, credevano sul serio? 

Schumi di nuovo in Formula 1: non sono passati tre anni solari da quando la notizia innescò il terremoto nel mondo dello sport. Michael Schumacher: 7 titoli iridati, più GP vinti di chiunque altro. Anche più episodi al limite del regolamento e pure oltre; ma questo era (ed è) un altro discorso. Il suo ritorno sembrava la formula magica di una F.1 inossidabile alla ruggine del tempo. Schumacher come Highlander: un’età persa nei secoli; orgoglio e forza quasi divini. Si trattava soltanto di rispolverare il mix, metterlo al volante di una Mercedes che come costruttore totale non vince dagli Anni Cinquanta, e via: verso l’ennesima saga contro il tempo, alla quale il giovanissimo 82enne Bernie Ecclestone è abituato. Dalla quale è forse dipendente: sia sui campi di gara sia negli affari personali, costellati da mille intuizioni geniali e da capacità manageriali fuori dal comune, non senza una serie di incidentucci fiscal-giudiziari che ad altri avrebbero garantito verdetti ben più amari.

La Ferrari del 2000 aveva messo in ombra il mito Mercedes? Riapriamo la partita: torniamo a schierare Schumi ma a maglie scambiate, e vediamo se tutto non torna in equilibrio. Non ci è tornato. E nel tentativo di dare finalmente un senso all’investimento multi-miliardario (in euro) dell’ultimo decennio, non è un caso che la Casa di Stoccarda giri ora le spalle al Mito e si affidi a Lewis Hamilton, che il giorno del primo lacrimoso addio di Schumi alla F.1 (fine 2006) non aveva ancora debuttato nei GP.

Chi da tutta questa recita a tempo scaduto ha comunque guadagnato, è sempre lui: Bernie Ecclestone. Ha aggiunto pepe a una F.1 da tempo in crisi di attenzione, almeno in Europa. Ha difeso la scelta giurando che Michael sarebbe tornato a fargliela vedere, a quei ragazzini. Soltanto qualche settimana fa si è lasciato sfuggire un ‘Peccato che si ritiri senza avere più vinto’. Un epitaffio anticipato, quando ancora il pilota la tirava lunga con il suo ‘deciderò a ottobre’, nella sempre più malcelata impazienza del team che non vedeva l’ora di sposare piani alternativi. E ora cosa faranno, Ecclestone e la Formula 1? Offriranno a Schumacher un pass a vita color platino per il paddock: quelli color oro sono già una prerogativa di tutti i campioni iridati del passato. Sempre che il pilota non decida sul serio di tramutarsi un manager al muretto, magari proprio della Mercedes. Dopo di che: grazie, Schumi. Al ricordo di te e di ciò che eri. Il futuro è di Hamilton che cambia casacca e di Perez che sale sulla McLaren, vera avversaria di quella Ferrari che il pilota messicano ha nella filiera ma che se l’è comunque fatto sfuggire. Ora si va avanti: Ecclestone deve lucidare la nuova argenteria. Per venderla sempre meglio, nonostante i tempi difficili. È questo, senza dubbio, il suo tratto più geniale.    

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