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Arte, dal Cadore a Venezia sotto il segno di Tiziano

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Successe un giorno che a Tiziano cadde il pennello mentre in Baviera ritraeva Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero e Re di Spagna. L’accaduto poteva anche passare inosservato senonché l’Imperatore si chinò a raccogliere il pennello a stupore di tutti. Un’altra volta Carlo V chiese a Tiziano di ritoccare un dipinto posto molto in alto e fu lo stesso imperatore con una serie di cortigiani a spostare una tavola in modo che l’artista vi potesse salire, e mentre i cortigiani si lamentavano, l’imperatore li zittì dicendo “Principi ne abbiano a non finire, ma di Tiziano ne abbiamo uno solo”. L’ammirazione di Carlo V verso Tiziano era infinita a tal punto che gli conferì il titolo di conte e lo nominò Cavaliere dello Speron d’oro, e i suoi figli fatti nobili dell’impero.

Tiziano ebbe due soli rivali, Raffaello e Michelangelo, che vissero meno di lui, lasciandolo incontrastato signore di quella loro epoca. Genio multiforme a cui si ricorda con un aggettivo coniato al suo nome che indica quel particolare tono di biondo rosso che predilesse nelle sue modelle, una serie infinita di Veneri. Compose scene di guerra, di azione, sacre  con fondi riconducibili alla sua terra di origine , il Cadore. Nato a Pieve di Cadore verso il 1477, Tiziano Vecelio discendeva da una famiglia di contadini e di soldati. La tradizione vuole che a sette anni il ragazzino dipingesse una Madonna col Bambino su un muro di casa, servendosi – si narra – con il succo di fiori spremuti. Il padre riconoscendo il talento del figlio, decise di mandarlo a Venezia dallo zio, in modo che potesse imparare l’arte.

Era un’epoca meravigliosa, un periodo di oro e porpora. In quel periodo storico Enrico VIII sarebbe asceso al trono d’Inghilterra, i Borgia avrebbero raggiunto l’apice della loro sinistra potenza, Martin Lutero avrebbe dato inizio alla Riforma Protestante. E Venezia era ancora la regina del mare e edominatrice dell’Oriente e attirava visitatori da ogni parte del mondo con la fama delle sue bellezze, l’erudizione dei suoi dotti e l’eccellenza dei suoi artisti.

Tiziano iniziò il suo percorso formativo da un mosaicista, ma presto entrò nella Bottega di Giovanni Bellini, dove imparò a macinare e mescolare colori, imparando ben presto le tecniche di estrazione dei pigmenti. Tiziano amava il colore e inizialmente trascurava le forme, ma con l’impegno – e non poco – riuscì a dipingere una Madonna detta la Zingarella, un’opera straordinaria.

Ma a custodire la svolta della sua arte, fu Giorgio Barbarelli, detto Giorgione, anch’esso allievo del Bellini. Infatti grazie ai suggerimenti del giovane pittore di Castelfranco Veneto, lasciarono entrambi lo stile della scuola belliniana, per dipingere ciò che vedevano con una sorta di lirismo.

Il loro modo di dipingere del periodo, era piuttosto simile e quando certe committenti cercavano pittori per affrescare un edificio di nuova costruzione, il Fondanco dei Tedeschi, i due ottennero il contratto. Il Giorgione decorò la facciata sul Canal Grande, mentre Tiziano il retro, ne dava su una stradina secondaria. Ma fu il lavoro del Vecelio a trarre maggiori Lodi, al punto tale che un litigio a riguardo tra i due giovani pittori, segnò la fine della loro amicizia.

Morto il Giorgione a soli trent’anni, con un Bellini già molto anziano, Tiziano divenne il pittore ufficiale della Serenissima  e ottenne la sua prima commissione importante, un’Assunta per la Chiesa di Santa Maria dei Frari. La tela era di grandi dimensioni, 6,9 per 3,60 con figure disposte su tre piani, Vergine e angeli che però non accontentò la committenza a causa della prospettiva che rendeva le figure troppo grandi. Ma una volta che l’opera fu posta al suo posto in alto, cominciarono ad arrivare in Venezia artisti da tutto il mondo è più convincente del successo, fu l’arrivo di un messo della Corte imperiale che si offrì di comperare il dipinto offrendo numerosi scudi d’oro.

Tiziano iniziò poi una lunga serie di viaggi da un palazzo all’altro, affrescando pareti, ritraendo re e imperatori, arciduchi e cardinali. Lo stesso Papà volle essere ritratto da lui. Quando Enrico III di Francia venne a Venezia fu accompagnato con tutti gli onori su una galea condotta da 400 rematori sulla quale era stato collocato un trono drappeggiato di broccato d’oro. Tutti erano pronti a soddisfare ogni suo desiderio, ma il Re ne aveva uno solo, vedere Tiziano al lavoro nel suo studio.

La gloria non gli fece dimenticare la sua casa tra i monti, nei suoi quadri non si vedono canali e gondole, ma l’emozione scale rustiche e gli alberi delle sue Alpi. Da Pieve di Cadore fece venire a Venezia la figlia del barbiere perché gli tenesse casa e due figli illegittimi.

Con l’avanzare dell’etá prese l’abitudine di ritoccare le sue tele spesso rovinandole,  come dicevano i suoi discepoli.

A 90 anni lo si vedeva ancora in giro per Venezia, retto e con una lunga barba bianca che lo faceva assomigliare ad un patriarca dell’Antico Testamento, secondo alcuni studiosi visse fino a 99 anni in ottima salute consentendogli di continuare a dipingere. Una delle sue tele più sensuali “La ninfa e il pastore” fu dipinta all’età di all’etá di 88 anni. Se non fosse arrivata la peste a Venezia forse avrebbe superato il secolo di età.

Secondo il critico George Agnew, scrisse di lui su The Listener di Londra: Tiziano riformò il linguaggio pittorico e l’arte di dipingere.

Ora spetta a noi ammirarne la bellezza ripercorrendo la sua storia dal Cadore a Venezia.

 

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