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Argentina: inflazione al 104% e dollaro alle stelle. Corsa alle presidenziali 2023: ecco i nomi vecchi e nuovi

Reuters

L’inflazione a marzo è salita su base annua al 104%, record da 32 anni. Solo una volta, nel 1991, quando l’allora presidente Carlos Menem fece la sciagurata scelta di scambiare alla pari dollaro e peso, il dato fu più alto: raggiunse il 115%. In questo scenario, e con il tasso di povertà al 40%, l’Argentina affronta uno dei momenti più difficili della sua già accidentata storia recente, dopo il corralito dell’inizio degli anni 2000, e si prepara alle elezioni presidenziali del prossimo autunno. Elezioni alle quali non si ricandiderà l’attuale presidente, Alberto Fernandez, il cui tasso di disapprovazione da parte della popolazione è schizzato al 71%. Un dato che farebbe desistere chiunque e che lascia non pochi dubbi su quello che accadrà nei prossimi mesi: il peronismo è davvero finito? Tornerà Cristina Kichner, già presidente ma recentemente condannata per corruzione? Sarà di nuovo la volta dei liberali alla Macri, predecessore di Alberto, o spunterà qualche nome nuovo?

Argentina: economia reale a rotoli, ma la Borsa sale con le materie prime

La situazione, come detto,  è delicatissima. Per far fronte alla spesa pubblica, il governo ha di recente emesso ulteriore moneta, facendo salire il cambio col dollaro a valori altissimi: il cambio ufficiale a fine aprile ha toccato i 230 pesos, mentre quello parallelo, il famoso “dollaro blu”, vale ora il 120% in più di quello regolare, sfiorando i 500 pesos, un dato record. Questa situazione sta creando molta incertezza sui mercati: mentre la Borsa di Buenos Aires continua a salire, trascinata dalle materie prime, il Paese fa sempre più fatica nell’economia reale. Il Peso al minimo storico mette infatti a rischio il commercio, tant’è vero che il governo ha annunciato che comincerà a pagare le importazioni dalla Cina direttamente in yuan. Pechino è il secondo partner commerciale dell’Argentina, mentre il primo è il Brasile: per agilizzare gli scambi il presidente Fernandez e il suo omologo Lula avevano prima ipotizzato l’idea di una moneta unica, poi tramontata, e hanno poi trovato l’accordo per ridurre da 6 mesi a 1 mese il termine per il nulla osta all’ingresso dei prodotti brasiliani in territorio argentino.

Argentina e presidenziali 2023: l’ascesa del ministro Economia. Torna Cristina Kirchner?

Artefice di queste mosse, oltre al presidente in persona, è il ministro dell’Economia Sergio Massa, 50 anni, ex capo di gabinetto di Cristina Kirchner e considerato un profilo moderato, in grado di rassicurare i mercati. In molti scommettono che sarà lui l’erede dell’attuale presidente e dunque il candidato del Frente de Todos, il partito peronista guidato da Cristina, già presidente dal 2007 al 2015 e di cui si vocifera un clamoroso ritorno, nonostante sia stata condannata lo scorso dicembre per corruzione in appalti pubblici. Del Frente de Todos è anche Daniel Scioli, 66 anni, un altro nome che potrebbe dire la sua: già candidato nel 2015, quando perse da Macri col 48% delle preferenze, è stato governatore di Buenos Aires e ha un passato anche nel mondo dell’impresa, nella multinazionale Electrolux. Oggi è ambasciatore in Brasile, ed è stato uno dei fautori della tregua tra i presidenti Fernandez e Bolsonaro, che grazie alla sua mediazione trovarono il modo di collaborare nonostante le divergenze politiche.

Nella corsa alla Presidenza in Argentina spuntano però nuovi nomi

Dei tre nomi peronisti, secondo i sondaggi ad avere più chance sarebbe proprio Cristina, accreditata però solo del 18%. Con questa percentuale finirebbe appena al terzo posto, dietro al probabile candidato del centrodestra Horacio Larreta (Juntos por el cambio), quotato al 19%, e soprattutto all’emergente populista Javier Milei, che sarebbe il favorito dei pronostici col 24%. Economista di stampo ultraconservatore, 52 anni, Milei è oggi deputato eletto per il Partido Libertario e per la coalizione La Libertad Avanza, di cui è leader. Famoso per la sua dialettica particolarmente scontrosa (ha spesso insultato avversari politici e giornalisti), Milei si definisce “anarcocapitalista” e propone la dollarizzazione totale dell’economia argentina. Il candidato di estrema destra ha dunque tutta l’aria di essere un Trump o un Bolsonaro argentino, in grado di raccogliere la frustrazione della popolazione, ormai da decenni abbandonata ad una crisi che sembra non finire mai.

Per l’Argentina non sarebbe la prima volta di un presidente eletto praticamente dal nulla, o comunque outsider: accadde negli anni ’80 col socialista Raul Alfonsin, ma analoga fu la parabola degli stessi Menem, Nestor Kirchner (marito e predecessore di Cristina) e Mauricio Macri, un imprenditore (e presidente del Boca Juniors) prestato alla politica. Javier Milei sembra il classico profilo da anti-politica, ma le recenti esperienze, in Europa come nelle Americhe, non hanno prodotto i risultati sperati.

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