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Apple e Honda, imprese nate per innovare senza fermarsi mai

FIRSTonline

Senza “conoscenza” non potremo andare neppure in bagno

Dal 14 maggio è disponibile ovunque L’impresa saggia, un libro capitale (non ci viene un aggettivo diverso tanto questo libro mi convince), scritto da Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi, due pensatori di origine giapponese che studiano da una vita la questione della gestione della conoscenza (knowledge management). In lingua inglese è stato pubblicato dall’University Oxford Press nel 2019. Chapeau a chi l’ha portato in Italia. Complimenti all’editore, a Fabio Corno (che ha scritto l’introduzione) e a Lucio Morawetz per l’ottima traduzione.

The Knowledge-Creating-Company del 1995, del quale questa edizione è una sostanziosa integrazione, degli stessi autori è stato definito da Peter Drucker “un classico”.

Il titolo non rende totale giustizia al contenuto anche se la “socratica” parola “saggia” dovrebbe fornire qualche indizio.

Si tratta infatti di un manuale di filosofia morale: è filosofico lo spirito che pervade tutte le 400 pagine. Filosofia nel senso di visione fondativa dell’agire verso uno scopo, cioè costruzione dei principi di una cultura. La cultura non intesa come ideologia, cioè insieme sistematico nel quale ingabbiare la realtà. Piuttosto il contrario: il processo di pre-disporsi a interpretare e anche trasformare la realtà nel quale viviamo con il pensare e l’agire.

Come scrivono Nonaka e Takeuchi, nell’introduzione al libro, è la “conoscenza” che incuba l’innovazione a tutti i livelli: nelle organizzazioni, nelle comunità, negli ecosistemi. Ma la conoscenza non può avere alcuna capacità di trasformazione senza la “saggezza”, come dimostrano gli autori con i loro molti casi. La questione centrale è l’agire saggio “qui e ora”, l’hic et nunc di Heidegger, non prima e né dopo.

Imprese e cultura

Anche le imprese, una delle più concrete e terrene creazioni intellettuali dell’umanità, si configurano e si sviluppano in base alla cultura che le ha fatte nascere. La cultura si forma su valori condivisi e trasmessi con uno scopo preciso, spesso oltre quello meramente economico. E alcune imprese sono nate su un progetto ideale trasformativo che si invera in teoria e prassi innovative a tutti i livelli dell’organizzazione.

È questa qualità che attrae la riflessione dei due autori, i quali hanno studiato l’evoluzione di imprese dinamiche, longeve attente non solo al business. E la caratteristica comune di queste imprese è quella di aver avuto una visione impiantata dai fondatori e poi trasmessa, nel tempo, attraverso la leadership a tutti i livelli dell’organizzazione, dal guardiano del parcheggio fino al CdA.

A noi piace pensare a due realtà del nostro tempo ampiamente discusse nel libro: Apple e Honda. Negli anni settanta Steve Jobs voleva fare un computer per migliorare il mondo, perché il computer incarnava lo spirito della controcultura degli anni sessanta, e 15 anni prima Soichiro Honda lavorava a un motore a bassa emissione per migliorare la vita dei bambini dei suoi ingegneri, dopo la devastante esperienza della guerra. Ma nel libro ci sono tanti altri esempi, come vedrete. E in futuro ce ne saranno sempre di più, perché quello di Steve Jobs e Soichiro Honda è lo schema vincente.

Ecco dunque un estratto da Impresa saggia che tocca due punti fondamentali di ogni processo innovativo: l’attenzione ai dettagli del progetto e la perseveranza nel portarlo avanti.

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Attenzione ai dettagli e perseveranza

di Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi

Un buon falegname

L’attenzione ai dettagli è stata anche il tratto distintivo di Steve Jobs, co-fondatore della Apple. Nella ricerca della bellezza, non scendeva a compromessi. Jobs spesso si lamentava con il suo team di sviluppo del prodotto perché il circuito stampato all’interno del Macintosh gli sembrava brutto, con molte linee troppo vicine tra loro. A un ingegnere che aveva fatto notare che nessuno avrebbe visto mai il circuito stampato, Jobs ha risposto così:

«Voglio che sia il più bello possibile anche se è dentro la scatola. Un grande falegname non utilizza un pessimo legno per il retro di un mobile, anche se nessuno lo vedrà. […] Quando un falegname fa una bella cassettiera, non mette un pezzo di compensato sul retro, anche se è rivolto verso il muro e nessuno lo vedrà mai. Sa che è lì, quindi usa un bel pezzo di legno sul retro. Per riuscire a dormire bene la notte, bisogna portare fino in fondo l’estetica, la qualità».

Il modello giapponese

Pignolo per i dettagli, Jobs si recò a Freemont, California, a visitare la fabbrica che produceva il Macintosh, indossando un guanto bianco per controllare la polvere, che trovava dappertutto: sulle macchine, sulla parte superiore delle rastrelliere, sul pavimento. Mise alle strette la direttrice della fabbrica, chiedendole di tenere tutto pulito, così pulito che lui avrebbe potuto mangiare dal pavimento. In seguito, ha riflettuto su una delle lezioni che aveva imparato in Giappone:

«Non capiva perché. E allora non riuscivo a spiegarglielo. Vede, ero stato influenzato da quello che avevo visto in Giappone. Una parte di ciò che ammiravo molto lì e una parte di ciò che mancava nella nostra fabbrica era il senso del lavoro di squadra e della disciplina. Se non avessimo avuto la disciplina di mantenere quel posto impeccabile, allora non avremmo avuto neanche la disciplina per far funzionare tutte quelle macchine».

Allo stesso modo, Tadashi Yanai racconta la storia di un alto dirigente che si era lamentato con lui, non molto tempo dopo essere entrato a far parte di Fast Retailing, per aver dovuto pulire un gabinetto: «Non capisco perché uno come me, che si è laureato all’università con ottimi voti, dovrebbe fare questo genere di cose», aveva detto. «Sono entrato in azienda per essere un leader, non un addetto alle pulizie».

Ricorda Yanai: «Gli ho risposto per le rime, in modo un po’ duro: “Come diavolo puoi avere successo come leader se non sei in grado di fare qualcosa che il cliente si aspetta che sia fatto? Se non riesci a soddisfare una persona, non vedo come potrai soddisfare il mondo intero”». Il dirigente è diventato un alto e stimato leader perché ha preso a cuore quel commento, e a partire da quel momento ha cercato di vivere secondo questo principio.

Intuizione e disciplina

Per coglierne l’essenza, i leader saggi afferrano le verità universali partendo dai dettagli. Trarre verità universali dal particolare richiede una continua interazione tra intuizione soggettiva e conoscenza oggettiva. Nessuno ha capito questa interazione meglio di Jobs, che ha lavorato sia in Apple che in Pixar, e ha capito in che modo la combinazione di intuizione e disciplina porta al successo:

«Quando sono andato in Pixar, mi sono reso conto del grande divario. Le aziende tecnologiche […] non apprezzano il pensiero intuitivo; pensano che le persone creative stiano sedute sui divani tutto il giorno e siano indisciplinate. D’altra parte, le etichette discografiche non sanno nulla in fatto di tecnologia. Pensano di poter semplicemente uscire e assumere qualche tecnico. Ma sarebbe come se la Apple cercasse di assumere qualcuno per produrre musica. […] Sono una delle poche persone che capisce che produrre tecnologia richiede intuizione e creatività, e che produrre qualcosa di artistico richiede una vera disciplina e una forte perseveranza».

È a proposito dell’essere imprenditore Jobs diceva;

«Ciò che distingue un buon imprenditore da uno cattivo è la perseveranza».

Secondo Walter Isaacson, l’autore della biografia definitiva di Jobs, Steve era un genio nel combinare l’intuizione soggettiva con la conoscenza oggettiva:

«I suoi salti immaginifici erano istintivi, inaspettati e a volte magici. Era, infatti, un esempio di ciò che il matematico Mark Kac chiamava un genio-mago, qualcuno al quale le idee vengono all’improvviso e richiedono l’intuizione più che una mera capacità di calcolo. Come un esploratore, sapeva assorbire informazioni, fiutare i venti e percepire cosa ci attendeva».

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La semplicità

Per Jobs, vedere l’essenza di un prodotto era una conseguenza degli anni passati in Giappone e in India durante la sua giovinezza. Jobs credeva che l’essenza di un prodotto potesse essere trovata eliminando le parti inutili. Cercare la semplicità non è facile, però. Secondo Jobs,

«La semplicità non è solo uno stile visuale. Non è solo minimalismo o assenza di disordine. Si tratta di scavare nella profondità della complessità. Per essere veramente semplici, bisogna andare davvero in profondità. Per esempio, per non usare viti, si può finire per avere un prodotto complicato e complesso. Il modo migliore è andare più in profondità con la semplicità, per capire tutto ciò che lo riguarda e come viene fabbricato».

Jobs attribuiva il suo amore per la semplicità alla sua formazione Zen e alle sue visite ai giardini di Kyoto. Confidava a Isaacson di aver pensato, a un certo punto, di andare in Giappone per cercare di entrare nel monastero di Eihei-ji, a Kyoto. Non è diventato monaco buddista, ma la sua formazione Zen ha sviluppato il suo intuito e affinato la sua capacità di concentrazione, mostrandogli come porre un filtro fra sé e tutto ciò che distrae o che non è necessario.

Jobs, a diciannove anni, ha anche fatto un viaggio di sette mesi in India, dove ha imparato il concetto di prajna esperienziale, saggezza o comprensione cognitiva vissuta intuitivamente attraverso la concentrazione. Anni dopo, ha riflettuto sull’influenza duratura del suo viaggio in India in questo modo:

«Nella campagna indiana le persone non usano il loro intelletto come noi, usano invece il loro intuito, e il loro intuito è molto più sviluppato rispetto al resto del mondo. Secondo me l’intuito è una cosa molto potente, più potente dell’intelletto».

Secondo Jobs, la concentrazione funziona così:

«Se ti limiti a stare seduto a osservare, ti accorgi di quanto la tua mente sia inquieta. Se cerchi di calmarla, peggiori solo la situazione, ma col tempo si calma, e quando lo fa, c’è spazio per sentire le cose più sottili: è allora che il tuo intuito comincia a sbocciare e cominci a vedere le cose più chiaramente e a essere più presente. La tua mente rallenta, e in quel momento vedi un’incredibile espansione. Si vede molto di più di quanto si potesse vedere prima. È una disciplina; bisogna esercitarsi».

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Estratto dal libro di Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi, L’impresa saggia. Come le imprese creano innovazione continua, Guerini Next (con goWare per la versione digitale), 2021, pp. 426.

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Ikujiro Nonaka è professore emerito a Tokyo, presso la Hitotsubashi Graduate School of International Corporate Strategy. Autore acclamato, insieme a Takeuchi, di The Knowledge-Creating Company (1995), è noto in tutto il mondo per la sua teoria della gestione delle aziende basata sull’acquisizione, sviluppo e condivisione della conoscenza.

Hirotaka Takeuchi è professore di Management Practice presso la Harvard Business School, specializzato in marketing, strategia competitiva e gestione della conoscenza. Insieme a Nonaka ha scritto numerosi testi, diventati punto di riferimento per lo sviluppo del knowledge management.

Categories: Economia e Imprese