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Usa, riforma fiscale: quanto fa salire il Pil

Le prospettive degli Usa dipendono fortemente dalla riforma fiscale di Donald Trump. Questa la valutazione che emerge dall’outlook macroeconomico di State Street Global Advisors, una ricerca (allegata in PDF) curata dal chief economist Chris Probyn che analizza l’andamento di tutte le principali economie del pianeta.

Ecco alcuni passaggi significativi estrapolati dall’outlook.

USA: SUSPENSE DAL PUNTO DI VISTA FISCALE

“In mancanza di misure di stimolo, tendiamo a continuare ad aspettarci una leggera accelerazione della crescita rispetto alle stime del 2,2% per il 2017, a causa della ricostruzione in corso in seguito ai danni causati dagli uragani, con un maggiore dinamismo nei settori minerario e manifatturiero.

Il generale miglioramento dipende tuttavia dalla portata e dalla tempistica di eventuali tagli dei tassi dei Fed fund e dai possibili programmi di riduzione della spesa pubblica.

I Repubblicani hanno proposto una riduzione dell’imposta sulle società al 20%, fissando tre sole fasce di imposizione al 12%, 25% e 35%, e un abbassamento del tasso del reddito non imponibile delle società al 25%. In questo modo si cerca di abolire le imposte minime e fondiarie alternative e di eliminare le spese detraibili ad eccezione degli interessi passivi sui mutui e dei contributi in beneficenza.

Poiché il costo di tali tagli ammonta a ben $2,4 mila miliardi in dieci anni (secondo il Tax Policy Center), prevediamo che il programma avrà portata più modesta, intorno ai mille miliardi di dollari (pari a circa lo 0,5% del PIL) nel prossimo decennio. Questa misura dovrebbe portare la crescita al 2,7% nel 2018, abbassando ulteriormente il tasso di disoccupazione (al 4,0%).

Non sorprende che i consumi e gli investimenti fissi delle aziende restino i principali fattori trainanti della crescita, dato che beneficiano direttamente della riduzione delle aliquote dell’imposta sulle persone fisiche e sulle società. A più lungo termine le disposizioni sul reddito delle persone fisiche non saranno probabilmente più applicabili (come nel caso dei tagli alle tasse operati dall’amministrazione Bush all’inizio degli anni 2000) per rispettare la cosiddetta “Byrd rule” secondo la quale ogni modifica non deve incidere sul deficit nell’anno successivo alla chiusura del periodo di applicazione di una delibera sul bilancio. Ma i Repubblicani cercheranno quasi sicuramente di rendere permanenti le modifiche dell’imposta sulle società facendo in modo che non incidano sul deficit (e ciò significa che probabilmente l’aliquota dell’imposta sulle società verrà portata al 25% invece del 20%)”.

LA CRESCITA GLOBALE MIGLIORA

“Oltre dieci anni dopo le prime avvisaglie di quella che sarebbe stata la crisi finanziaria mondiale, prevediamo che la crescita globale ritornerà finalmente al suo trend storico del 3,7% nel 2018. Ma ciò che è davvero importante determinare è se si tratta solo di un incremento ciclico.

La ripresa dalla crisi finanziaria mondiale è stata insolitamente lunga e contenuta, anche se coerente con quello che Reinhart e Rogoff avevano documentato sulla base delle precedenti crisi finanziarie indotte dal credito.

I miglioramenti a cui abbiamo assistito lo scorso anno sono stati abbastanza diffusi. Brasile e Russia sono finalmente uscite dalla recessione, l’India ha confermato il proprio dinamismo e il rallentamento della crescita cinese atteso da tempo non si è concretizzato. Contemporaneamente la ripresa dei prezzi del petrolio ha favorito Stati Uniti e Canada, le misure di stimolo fiscale hanno sostenuto il Giappone e la domanda interna ha rafforzato l’eurozona.

Tuttavia, dal nostro punto di vista si tratta di una ripresa del ciclo economico piuttosto modesta rispetto a un vero e proprio rimbalzo, in particolare tenuto conto del fatto che la combinazione di dati demografici in calo e di un rallentamento della crescita della produttività significa che il tasso di crescita sostenibile o potenziale delle economie avanzate resta contenuto.

Anche l’inflazione resta impercettibile. Dalla metà del 2014 i prezzi del petrolio hanno influito sull’andamento dell’inflazione. Dopo un leggero aumento nel 2016 e nel 2017, prevediamo che l’inflazione si stabilizzerà nel 2018 se i prezzi del petrolio non aumenteranno ulteriormente”.

Leggi il rapporto completo: Gmo Economic Outlook

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