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Una rivoluzione commerciale nel settore dell’energia? Chi sopravviverà e chi no

Fino a qualche tempo fa si parlava, un po’ accademicamente ma questa volta con buona capacità previsiva, della necessità di estendere l’offerta da parte delle imprese del settore energetico per fronteggiare una domanda che sembrava in difficoltà. Oggi il tema è diventato una questione di sopravvivenza per molte imprese del settore, cioè di vita o di morte, che impone l’adozione di scelte coraggiose. Basti pensare alla decisione assunta dal Gruppo E.On di uscire dall’Italia dopo che ci era entrata non molti anni fa in occasione dell’accordo con Enel del 2007 che chiudeva la costosissima battaglia per la conquista della spagnola Endesa.

All’origine di questa situazione, ricordiamolo ancora una volta, vi è una modifica strutturale della domanda di energia, cioè di elettricità e gas. Il calo dei consumi sembra oramai per molti osservatori ed operatori destinato a durare negli anni. Secondo alcuni, i consumi dei settori commerciale e residenziale potrebbe anche ripartire; molto probabile è, invece, che la domanda industriale non ridecollerà ed anche una ripresa dell’economia avrà connotazioni molto meno energy intensive che nel passato; l’elevato costo dell’energia in Italia, insieme ad altri fattori collegati al calo della domanda, ha spinto molte imprese di comparti ad alta intensità energetica (ad esempio, acciaio, carta, chimica di base, cemento, ecc.) a spostare le produzioni in luoghi più convenienti. Rilevante è stato, e potrà essere ancor più nel futuro, l’effetto degli investimenti nel risparmio energetico; anche qui le previsioni sono incerte e complesse ma secondo taluni scenari proposti da fonti autorevoli (come il Politecnico di Milano) non sono per nulla da escludere effetti molto pesanti sulla domanda energetica anche in orizzonti temporali non lunghi (2020).

Anche i prezzi sembrano destinati a contrarsi, e con essi i margini di redditività delle imprese. Alcuni fattori hanno spinto e spingeranno i prossimi anni in questa direzione. Innanzi tutto, la overcapacity produttiva che potrebbe addirittura aumentare per via della raggiunta economicità delle rinnovabili ad uso residenziale; anche nel 2013 si è assistito ad incrementi della capacità installata proprio con le rinnovabili e ciò crea ulteriori pressioni sui prezzi. L’overcapacity tocca anche i paesi europei limitrofi all’Italia rendendo improbabili le esportazioni in quelle direzioni.

In secondo luogo, va menzionato l’ingresso di nuovi operatori, alcuni dei quali adottano politiche molto aggressive sul piano commerciale, talvolta borderline e rischiose per l’intero sistema, che però hanno visto l’emergere in posizioni di rilievo aziende con pochissimi anni di vita. Essi operano prevalentemente come trader, comprando e vendendo energia che non hanno e di cui si approvvigionano sui mercati talvolta seguendo logiche anche fortemente speculative. Vi sono poi altri soggetti, si pensi al recente caso di Altroconsumo, che coinvolgono anche molte migliaia di utenti facendo leva sulla loro credibilità e capacità di aggregazione della domanda. Insomma, il mercato è diventato molto più complesso e competitivo e i trader, ormai misurabili in varie decine, si interpongono in modo sempre più deciso tra i produttori e i consumatori scardinando il modello relazionale storico. Prova ne sia il crescente tasso di switching che ha caratterizzato gli ultimi anni.

Si noti, infine, che la attività di trading è svolta sia da traders puri, che non hanno impianti di generazione, sia da traders misti, che hanno invece capacità a disposizione; è evidente che le strategie saranno differenziate ed anche i livelli di esposizione al rischio.

L’esposizione alle pressioni di mercato varia molto da azienda a azienda. In particolare, le imprese che hanno capacità di generazione nell’idrico, ove i costi marginali sono pressoché inesistenti, corrono rischi modesti o nulli. Al contrario, le aziende fortemente sbilanciate sulla produzione con cicli combinati sono quelle più in difficoltà ed hanno molto spesso impianti largamente sottoutilizzati se non spenti. La loro situazione è resa ancor più complessa dalla rigidità dei grandi fornitori di gas naturale i quali non sembrano disponibili, se non dopo defatiganti arbitrati internazionali, a rivedere i prezzi ed anche queste revisioni non sembrano sufficienti a rilanciare le produzione a gas. Tale resistenza al ribasso dei prezzi dei grandi fornitori deriva dall’idea che sia preferibile attendere tempi migliori che cedere la preziosa materia prima a prezzi contenuti; ciò anche pensando alla crescente domanda ad esempio dei paesi asiatici che, in generale, di gas ne hanno poco.

In questo quadro complesso, come possono reagire le aziende? Un operatore ai vertici di una impresa attiva in Europa, con quindi in mente la situazione non solo italiana, sviluppava questa riflessione nel dicembre 2013: “Lo scenario futuro è che l’energia sarà una commodity venduta con margini risicati, o addirittura in perdita; redditività e fatturato potranno essere recuperati solo con altri servizi o prodotti addizionali. Ma ciò richiede cambiamenti organizzativi e culturali anche molto ampi oltre che una solida capacità di sviluppo delle collaborazioni interaziendali.”

Una scelta drastica è abbandonare l’Italia e altri paesi europei per puntare alle economie che presentano profili di crescita più interessanti, e cioè gran parte del mondo. E.On ha deciso così, ma anche altre aziende si stanno muovendo con decisione verso i mercati più attrattivi. Ma quelle che stanno in Europa, in tutto o in parte, cosa possono fare? La strada della estensione dell’offerta appare obbligatoria e, comunque, è seguita da molti operatori e certamente dai maggiori. In un nostro lavoro di tre anni fa con Accenture “A Power shift: Trasforming Utilities Offering” già segnalavamo con decisione tale strada, raccogliendo qualche perplessità. Oggi, la via è obbligatoria e il tema si sposta sul come attuare tale estensione.

Lo studio di quest’anno dell’Osservatorio Alleanze e Strategie nel Mercato Pan Europeo delle Utilities” (http://www.agici.it/osservatorio-utility/) presentato in occasione del Convegno annuale il 5 marzo 2013 mostra l’attenzione che è necessario dedicare al tema dell’allargamento dell’offerta.

Grosso modo, le strade perseguite sono le seguenti:
Impianti per la generazione distribuita (DG). Ad esempio, l’installazione di pannelli solari o piccoli impianti a biomassa o, ancora, il mini eolico.
Rinnovabili termiche. Ad esempio, fornitura e installazione di pompe di calore.
Efficienza sistemi elettrici. Ad esempio, dai sistemi di monitoraggio dei consumi, fino alla fornitura e installazione di motori elettrici di classe superiore.
Efficienza sistemi termici. Ad esempio, cogenerazione o revamping caldaie. Beni energy saving. Ad esempio, vendita di lampadine CFL.
Servizi assicurativi. Ad esempio, polizze che prevedono la riparazione gratuita in caso di guasto all’impianto elettrico.

Certamente, si tratta di percorsi comunque non facili, che dipendono molto dalla attività e dalle competenze pregresse delle imprese energetiche. Si va da addizioni all’offering relativamente facili e non richiedenti particolari adattamenti dell’organizzazione (si pensi, ad esempio, alle polizze assicurative per danni nelle abitazioni), via via fino a aggiunte assai impegnative, come i servizi energetici, che richiedono anche di immaginare strutture organizzative separate perché molto distanti culturalmente e tecnologicamente dalle esistenti.

La fase attuativa della strategia di estensione dell’offering costituisce un altro elemento di complessità. L’assenza di competenze interne impone mosse rilevanti come, ad esempio, l’acquisizione di imprese o la realizzazione di accordi di collaborazione articolati. In entrambi i casi si evidenziano profili di rischio da gestire con cautela.

Il tutto va poi traguardato dal punto di vista delle redditività almeno prospettica. Non è chiaro quanto i prodotti/servizi nuovi possano portare in termini di margini netti addizionali; alcuni di essi, si pensi all’efficienza energetica, si innestano in mercati esistenti, ove ci sono altri operatori che hanno assunto nel tempo posizioni solide e non facilmente scalzabili. E poi i costi e i rischi di creare nuove strutture e di operare gli investimenti del caso vanno presi in attenta considerazione. Il tutto senza dimenticare che i mercati storici, anche se un po’ asfittici, concorrenziati e in calo, sono sempre lì e lo saranno per moltissimi anni…

Insomma, le sfide sono numerose e non semplici. Quello che possiamo dire è che i maggiori gruppi, e i soggetti più dinamici, si stanno muovendo con determinazione e certamente nei prossimi mesi ed anni assisteremo a delle rilevanti modifiche nei modelli di business e nelle logiche di competizione.

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Categories: Politica
Tags: Energia