Mohammed bin Salman, governatore de facto dell’Arabia Saudita, ha accolto calorosamente il presidente degli Stati Uniti Donald Trump al suo arrivo all’aeroporto internazionale King Khalid della capitale saudita questa settimana offrendogli un tradizionale caffè arabo. Poi, in visita alla base militare Usa di al Udeid in Qatar, che gli ha appena fatto gentile omaggio di un lussuosissimo AirOne da 400 milioni, The Donald ha ballato la sua celebre “Trump dance” sulle note di Ymca. Infine, nell’ultima tappa del suo viaggio mediorientale ad Abu Dhabi il tycoon è stato accolto con la “danza dei capelli” o danza Khaliji.
Non c’è dubbio che su questi fusi orari il clima è decisamente più caloroso di quello che si è respirato nelle ultime settimane nel corso delle trattative tra Washington e Pechino, culminate nell’elvetica Ginevra dello scorso week end tra tensioni e reciproci sospetti, ma anche rispetto a quelle ben più facili di qualche giorno prima con il Regno Unito. L’attenzione degli Usa si è invece concentrata in questi giorni nel Medio Oriente. Non significa che Trump voglia abbandonare la Cina, ma certamente vuole ricalibrare la strategia almeno per quel che riguarda la tecnologia per allinearla agli standard e ai protocolli statunitensi dove è più importante: elaborazione, cloud e catene di fornitura di chip.
In tre Paesi accordi per oltre 1000 miliardi di dollari
Nei suoi quattro giorni in Medio Oriente Trump ha strappato alle petromonarchie del Golfo Persico accordi per oltre mille miliardi di dollari, in un intreccio tra politica e business, mostrando di voler far pesare decisamente sul piatto della bilancia commerciale mondiale il Medio Oriente rispetto ad altri partner, almeno per quanto riguarda l’intelligenza artificiale. L’Arabia Saudita, che sta cercando di rendere la propria economia meno dipendente dalle entrate petrolifere, mira a posizionarsi come un polo per l’intelligenza artificiale al di fuori degli Stati Uniti, ma i suoi legami con la Cina avevano limitato l’accesso ai chip statunitensi sotto l’ex presidente Joe Biden.
Il team di Trump ha elaborato accordi con l’Arabia Saudita per “investire negli Usa 600 miliardi di dollari costruendo legami destinati a durare”. Con gli Emirati Arabi Uniti ha stipulato accordi per 200 miliardi di dollari, a cui si aggiungono accordi per oltre 243 miliardi di dollari dal Qatar.
Al seguito di Trump ci sono tutti: da Musk a Elkann
Il codazzo di imprenditori che ha seguito The Donald è notevole: oltre all’amministratore delegato di Tesla e SpaceX nonché consigliere alla spending review, Elon Musk, dall’Air Force One sono scesi anche l’amministratore delegato di BlackRock, Larry Fink, e l’amministratore delegato di Citigroup, Jane Fraser. Alla tavola del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman si sono seduti i dirigenti di Amazon, Nvidia, OpenAI, Palantir, Uber, Coca-Cola, Google e Boeing. Presente anche John Elkann, amministratore delegato di Exor, presidente di Ferrari e di Stellantis. Nel frattempo il dipartimento di Stato americano autorizzava la vendita di aerei e attrezzature militari per un valore di 1,4 miliardi di dollari agli Emirati Arabi Uniti.
Diverse aziende tecnologiche statunitensi hanno già annunciato accordi sull’intelligenza artificiale in Medio Oriente. Tra le offerte più importanti, Nvidia ha dichiarato che venderà centinaia di migliaia di chip di intelligenza artificiale in Arabia Saudita, con una prima tranche di 18.000 dei suoi nuovi chip “Blackwell” destinati a Humain, una startup di intelligenza artificiale appena lanciata dal fondo sovrano saudita. Il progettista di chip Advanced Micro Devices ha inoltre annunciato un accordo con Humain, affermando di aver avviato una collaborazione dal valore di 10 miliardi di dollari. Un’altra azienda ad annunciare un accordo con Humain è stata Qualcomm Inc, che ha dichiarato di aver firmato un memorandum d’intesa per sviluppare e costruire un processore centrale (CPU) per data center. L’azienda di San Diego, che ha sviluppato chip, ha acquisito il produttore di CPU per server Nuvia nel 2021, ma non ha ancora rilasciato alcun prodotto.
Nvidia e Humain hanno dichiarato che sfrutteranno le piattaforme Nvidia per affermare l’Arabia Saudita come leader mondiale nell’intelligenza artificiale, nel cloud computing GPU e nella trasformazione digitale, un tipo di accordo che in precedenza aveva incontrato restrizioni a causa delle preoccupazioni di Washington circa l’accesso della Cina alla tecnologia. In una dichiarazione congiunta, le due aziende hanno affermato che costruiranno fabbriche di intelligenza artificiale con una capacità fino a 500 megawatt, che includeranno “diverse centinaia di migliaia” delle GPU più avanzate di Nvidia nell’arco di cinque anni. Al centro dell’accordo c’è il campus di intelligenza artificiale di Abu Dhabi, che si estende su 25,9 chilometri quadrati e ha una capacità di potenza di 5 gigawatt per i data center di intelligenza artificiale, ha detto il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti.
Di contro la Casa Bianca ha detto che l’azienda saudita DataVolt investirà 20 miliardi di dollari in data center di intelligenza artificiale e infrastrutture energetiche negli Stati Uniti, mentre Alphabet Google, DataVolt, Oracle, Salesforce Inc, Advanced Micro Devices e Uber investiranno 80 miliardi di dollari in tecnologie all’avanguardia e trasformative in entrambi i Paesi.
Un rapporto con la Cina da ricalibrare
Lo scorso week end a Ginevra si è tenuto un incontro chiave tra Washington e Pechino, che ha portato a un accordo quasi insperato, che ha scacciato le peggiori nubi sui mercati azionari, riportandoli ai livelli di inizio aprile, quando Trump aveva scatenato la guerra dei dazi. La pausa di 90 giorni concordata tra i due paesi senrvirà a entrambi ad aggiustare il tiro dei dazi reciproci.
Da anni gli Stati Uniti perseguono politiche protezionistiche per limitare l’accesso della Cina ai semiconduttori avanzati, ad esempio assicurandosi che i chip non finiscano nel Paese tramite terze parti.
Le normative si stanno allentando sotto Trump, il cui zar dell’intelligenza artificiale David Sacks ha dichiarato a Riad questa settimana che i controlli sulle esportazioni imposti dall’amministrazione Biden “non sono mai stati concepiti per colpire amici, alleati e partner strategici”.
Concedere agli Emirati Arabi Uniti un maggiore accesso ai chip più avanzati, prodotti da aziende come Nvidia, segna una svolta importante. “Questo cambiamento consente (agli Emirati Arabi Uniti) di approfondire la partnership tecnologica con gli Stati Uniti, preservando comunque i legami commerciali con la Cina“, ha affermato Mohammed Soliman, ricercatore senior presso il Middle East Institute. “Non significa abbandonare la Cina, ma ricalibrare la strategia tecnologica per allinearla agli standard e ai protocolli statunitensi laddove è più importante: elaborazione, cloud e catene di fornitura di chip”, ha detto.