Neanche il tempo di incassare la vittoria per i 30 miliardi di dollari del nuovo piano azionario, che per Elon Musk arriva l’ennesimo scivolone di un 2025 tormentato. Al centro della bufera stavolta ci sono i robotaxi, le navette a guida autonoma che dovevano rivoluzionare il trasporto urbano e che invece rischiano di far deragliare non solo l’immagine visionaria dell’imprenditore, ma anche la stabilità finanziaria di Tesla.
Robotaxi, la corsa (fallita) verso il futuro
È il 22 giugno ad Austin, Texas. Tesla lancia in pompa magna i suoi primi taxi autonomi: una flotta di Model Y con a bordo un operatore di sicurezza, ma senza possibilità di controllo manuale. L’evento diventa virale per tutte le ragioni sbagliate: auto che superano i limiti di velocità, frenano di colpo, salgono sui marciapiedi, sbagliano corsia e scaricano passeggeri in mezzo alle strade a più corsie.
Il risultato? Una pioggia di critiche, un’indagine ufficiale avviata dalla National Highway Traffic Safety Administration (Nhtsa) e un crollo del titolo Tesla del 6,1% in due giorni, bruciando 68 miliardi di capitalizzazione.
Class action: Musk e Tesla nei guai per frode
Il 4 agosto, giorno tra l’altro dell’approvazione del bonus a Musk, ecco il colpo di scena. Un gruppo di azionisti, guidati dalla dottoressa Denise Morand, deposita una class action presso la Corte federale del Texas, accusando Musk, Tesla e i suoi cfo di frode finanziaria. L’accusa è quella di aver nascosto i rischi gravi della guida autonoma per gonfiare il valore azionario e illudere gli investitori.
Secondo i querelanti, tra aprile 2023 e giugno 2025 il titolo è salito del 44% proprio grazie a una narrazione eccessivamente ottimista su una tecnologia ancora immatura. Ora chiedono danni non specificati, ma la posta in gioco è altissima.
Il loop infinito del robotaxi
Un episodio simbolico ha fatto il giro del web: un robotaxi bloccato in un parcheggio a causa di alcuni coni stradali, incapace di reagire a un imprevisto banale. L’auto ha continuato a girare in tondo per cinque minuti, mentre il passeggero, un utente abituale, restava intrappolato. Neppure l’operatore a bordo ha potuto intervenire: il sistema lo vieta.
L’auto è stata infine salvata dal supporto remoto di Tesla. Ma il danno d’immagine, in termini di fiducia nella guida autonoma, è fatto.
Eppure, Musk accelera. Dopo il disastro dei primi test, l’area operativa dei robotaxi ad Austin è passata da 20 a 228 chilometri quadrati, la flotta è salita da 15 a 35 veicoli e punta a mille entro fine anno. Una crescita aggressiva che evidenzia l’ostinazione del patron Tesla a voler bruciare le tappe, anche a costo di rischi reputazionali e tecnici enormi.
Un altro colpo: Tesla condannata a 243 milioni
Solo pochi giorni prima della causa civile, una giuria federale in Florida aveva condannato Tesla a pagare 243 milioni di dollari per un incidente mortale avvenuto nel 2019 con il sistema Autopilot attivo. È la prima condanna piena dopo anni di controversie legali, e getta un’ombra ulteriore sulla credibilità del marchio.
Gli azionisti citano proprio questo caso come prova concreta del pericolo sistemico legato ai sistemi autonomi.
Una Tesla sempre più “Musk-centrica”
Nel frattempo, Musk si è fatto approvare un nuovo super bonus da 30 miliardi, dopo che il precedente piano da 56 miliardi era stato annullato dalla Corte del Delaware. La nuova ricompensa gli permetterà di salire oltre il 15% del capitale Tesla, rafforzando ulteriormente il suo controllo sull’azienda. Più che un premio, un colpo di mano.
Ma la centralizzazione ha un prezzo. Dopo l’endorsement a Donald Trump e l’ingresso-lampo nel suo governo, l’abbandono e la voglia di un suo partito, la fedeltà dei clienti Tesla è crollata. Negli Usa, solo il 57,4% degli acquirenti torna a comprare una nuova Tesla (era il 73% l’anno scorso), mentre in Europa le vendite sono crollate del 33% nel primo semestre.
Il 2025 è finora un anno da dimenticare anche sul piano industriale per Tesla. Il Cybertruck, presentato come rivoluzionario, si è rivelato un flop. Le vendite sono in calo negli Usa (-8% nei primi cinque mesi), in Europa (-45% ad aprile) e in Cina (-8,4% a luglio). Il marchio soffre, i modelli invecchiano e la concorrenza cinese (Byd in primis) avanza.
Grok 2 e il rilancio sull’intelligenza artificiale
Se Tesla vacilla, Musk non molla. Il nuovo fronte si chiama intelligenza artificiale, ed è lì che il fondatore scommette il suo futuro. Ma anche questo terreno inizia a sgretolarsi. Il 10 luglio, in appena 72 ore, il social X – ex Twitter – ha vissuto uno dei suoi momenti più neri: risposte antisemite da parte di Grok, il chatbot di xAI, censura da parte della Turchia per contenuti ritenuti offensivi verso Erdoğan, dimissioni improvvise della ceo Linda Yaccarino. Una bufera diplomatica e aziendale che ha messo a nudo le fragilità di un ecosistema costruito sulla velocità più che sulla governance.
Eppure, Musk rilancia. Nonostante tutto, la prossima settimana arriverà Grok 2: una versione aggiornata, open source, accessibile a tutti, con l’ambizione di sfidare OpenAI, Google e Anthropic sul terreno dell’AI generativa. Codice aperto, modificabile, integrabile: Musk vuole costruire l’alternativa “popolare” all’intelligenza artificiale chiusa e corporate. Nel frattempo, procede anche la costruzione di Colossus 2, il mega data center realizzato con Nvidia, cuore computazionale del suo impero tecnologico.
Il 2025 è forse l’anno più difficile per Elon Musk: Tesla sotto attacco, la fiducia degli investitori in calo, le vendite in stallo, cause miliardarie e reputazione scossa. Ma il magnate tira dritto. Un uomo solo al comando, nel bene e nel male. Con un piede nell’avanguardia e l’altro su un terreno sempre più instabile.