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Open Fiber avanza, Tim preferisce fare da sola

FIRSTonline

Open Fiber-Tim, la sfida non si ferma mentre si avvicinano due Cda per la corazzata telefonica nazionale: il primo, martedì 30 ottobre per accelerare sulla cessione di Persidera; il secondo, fissato già da tempo l’8 novembre, per l’approvazione dei conti al 30 settembre. I riflettori tornano ad accendersi, alimentati dall’attesa di passi significativi – che per ora non ci sono stati – sulla separazione della rete e del possibile sblocco delle trattative con Open Fiber che, nel frattempo, prosegue la sua strada per realizzare la nuova infrastruttura in fibra ottica 100%. Il tutto mentre la governance Tim a metà tra il Fondo Elliott, che con l’8,847% ha però la maggioranza dei consiglieri in Cda, e Vivendi che con la quota di maggioranza relativa del 26% è stata costretta in minoranza dopo l’assemblea di maggio, non fa passi avanti. Né si sa come si muoverà la Cdp, titolare del 5% del capitale Telecom, dopo il cambio della guardia voluto dal governo M5S-Lega e l’arrivo al vertice di Fabrizio Palermo. L’unico elemento di certezza che sembra emergere è il consolidamento della posizione e del ruolo dell’ad di Tim, Amos Genish, che, al contrario di quanto pareva qualche mese fa, è destinato a restare alla guida della prima compagnia telefonica nazionale almeno fino all’assemblea della prosssima primavera.

Le incognite restano però molte, aggravate da un contesto di mercato difficile che mette sotto pressione i titoli delle tlc. E lo stallo tiene in agitazione anche il sindacato, preoccupato per il rischio di nuovi esuberi oltre i 4.500 già dichiarati dall’azienda e per ora “arginati” con un accordo di solidarietà per 29.500 dipendenti del gruppo. Recentemente Mediobanca e Equita hanno ridotto il target price per scontare il maxi-investimento nel 5G e hanno aggiornato le stime sul terzo trimestre per tenere conto dei 2 milioni di clienti dichiarati da Iliad a settembre. Ma in entrambi i casi il nuovo target price è superiore al corso di Borsa e quindi il giudizio rimane positivo.

FIBRA, VA AVANTI IL PIANO CDP-ENEL

In attesa che maturino decisioni, Tim e di Open Fiber non si incontrano sul campo di battaglia e ciascuno prosegue per la sua strada. Open Fiber, la società pubblica nata dall’unione di Enel (50%) e Cdp (50%), va avanti con il suo piano industriale: nelle aree più concorrenziali del Paese, le cosiddette A e B, ha cantieri attivi in 100 città su 271 che il piano industriale prevede di cablare in fibra ottica pura (il 90% entro il 2023). In 50 città è aperta la vendita e i clienti già collegati sono qualche centinaio di migliaia complessivamente. Nelle aree a fallimento di mercato, le aree C e D, Open Fiber opera in concessione su mandato Infratel: i cantieri aperti sono 750 in altrettanti Comuni italiani e diventeranno 1000 entro fine anno. In sintesi, è stata messa in moto una macchina enorme in tempi veloci visto che il via libera Anac agli appalti è arrivato in febbraio.

Facendo le somme, in tutto ci sono già 3,5 milioni di unità raggiunte in Ftth, Fiber to the home, la fibra ottica che arriva dentro l’immobile. La strategia di Open Fiber che ha avuto la spinta e il pieno appoggio dei governi Renzi-Gentiloni, è chiara: replicare più reti in fibra Ftth, una per ogni operatore, su tutto il territorio nazionale non è una scelta praticabile perché troppo cara; quindi la soluzione è nella realizzazione di una rete wholesale (all’ingrosso) per dare connessione all’Internet ultraveloce a tutti gli operatori interessati. E poi, vinca il migliore. Strategia condivisa da Vodafone, Wind3, Tiscali (e una decina di altri operatori meno noti) che hanno firmato accordi con Of e hanno già iniziato a offrire ai loro clienti il “Giga abbonamento” in città come Catania, Napoli, Perugia così come Bologna, Venezia, Milano, Torino e via dicendo. I lavori sono partiti anche a Roma che da sola vale quanto mille piccoli Comuni. I finanziamenti sono arrivati: oltre agli iniziali 950 milioni dei due soci Enel e Cdp, la scorsa estate è partito il prestito Jumbo da 3,5 miliardi da Bei e dal consorzio di banche che sostengono il progetto. Altri 2 miliardi arriveranno dal cash flow generato dalla gestione.

TIM CORRE DA SOLA

Sul fronte opposto c’è Tim: ha scelto il modello misto Fttc, Fiber to the cabinet, la fibra arriva fino alla cabina su strada, da lì in poi c’è il rame. Tim non è l’unico, tra gli ex monopolisti, ad aver scelto questo modello di rete che valorizza il network di accesso in rame, asset prezioso per Tim e tutt’ora in monopolio. Anche Bt in Uk ha fatto lo stesso ma sta ora spostando progressivamente i clienti sull’Ftth che prima o poi prevarrà – è questa la tendenza a livello mondiale – non fosse altro che perché la fibra ha costi di gestione molto inferiori al rame. E sulla fibra 100% investe anche Tim. Tramite Flash Fiber (80% Tim, 20% Fastweb) vuole connettere connettere 29 grandi città entro il 2020. Ma il gruppo guidato da Amos Genish dichiara anche connessioni Ftth disponibili in 116 Comuni per 2,9 milioni di abitazioni. E’ chiaro che nelle aree “ricche” la rete Tim e quella Of si andranno a sovrapporre e il costo lo pagheranno le due aziende. Su circa 1/3 del Paese – nelle aree Infratel – la rete la farà invece Open Fiber. Resta da decidere, in sostanza, che fare nel restante terzo – quello delle aree cosiddette grigie – e qui la lotta sarà dura anche perché le aree andranno censite e sono distribuite a macchia di leopardo su tutto il territorio, con realtà industriali importanti da Nord a Sud, come per esempio Ferrari a Maranello o il Cis di Nola, un polo distributivo grande quanto una città.

Tim troverà un accordo con Open Fiber? Non è questa l’aria che tira, almeno per ora. Forte delle sue maxi-dimensioni e del posizionamento sul mercato (sono suoi il 52,6% dei clienti fissi) Tim vuole fare da sola, anche se resta il nodo delle risorse. Il gruppo ha presentato un Ebitda Domestic pari al 40% dei ricavi 2017, e non è poco, ma ha circa 25 miliardi di debiti, 50 mila dipendenti (che Vivendi considera sovradimensionati rispetto agli altri incumbent) e si è impegnata con 2,4 miliardi per il 5G mobile. Un investimento, quest’ultimo, che conferma l’impegno del gruppo nell’innovazione ma che comunque rappresenta un impegno di risorse non indifferente. La pressione competitiva resta alta su tutti gli operatori e il progetto di separazione della rete di accesso nella Netco è affidato ai tempi dell’Authority per le comunicazioni che dovrebbe dare qualche indicazione entro fine anno. Il governo si muove con molta cautela: «C’è Telecom che vuole scorporare e vendere la rete in rame – ha detto nei giorni scorsi il ministro Di Maio – Dobbiamo capire prima di tutto se è una cosa ancora attuale». E se è interessante – ha aggiunto – per poi accelerare sul cablaggio in fibra di tutto il territorio.

Nell’attesa, come si risolverà il nodo della governance? Quanto tempo impiegherà Vivendi per ribaltare i rapporti di forza in Cda e riconquistare la gestione dell’azienda? Tra ipotesi di accelerazione e successive frenate, il traguardo a cui tutti guardano è certamente l’assemblea di aprile. Anticipi sono possibili? Arnaud de Puyfontaine, con ironia francese, ha consigliato ai giornalisti che di volta in volta presentano anticipazioni al riguardo “di bere un po’ meno di Aperol Spritz perché la creatività è eccessiva e quello che ho letto non è nella realtà del momento”. Ma il tema resta aperto: non solo perché il Fondo Elliott ha già creato le premesse per una sua futura uscita il prossimo anno coprendo parte della sua quota con opzioni put e call con JP Morgan ma perché resta da vedere cosa farà Cdp, a quel punto: resterà azionista di Tim (con il 5%) e di Open Fiber (con il 50%)?  Oggi non lo sa nessuno.

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Categories: Economia e Imprese