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Netanyahu annuncia: “Occupazione totale di Gaza”. Trump approva, Israele si spacca

Imagoeconomica

È l’annuncio finale: Israele occuperà tutta la Striscia di Gaza. La notizia arriva in prima serata, quando il Paese è incollato al telegiornale. Una fonte di alto livello dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu fa trapelare la linea: “La tregua è finita. Hamas non rilascerà altri ostaggi senza una resa totale, e noi non ci arrenderemo”.

Non è un comunicato ufficiale, ma la fuga di notizie è chiaramente pilotata, parte di un copione che mira a preparare l’opinione pubblica a un nuovo, sanguinoso capitolo della guerra. Il piano prevede incursioni anche nelle aree densamente popolate dove si ritiene siano detenuti alcuni ostaggi israeliani, come Deir al-Balah.

I tre obiettivi ribaditi da Netanyahu sono quelli di sempre, ma il prezzo – militare, politico, umano – rischia di essere altissimo: “Sconfiggere Hamas, liberare gli ostaggi e impedire che Gaza sia ancora una minaccia”.

Trump approva l’operazione. E Bibi telefona a Putin

A spalleggiare Netanyahu c’è il suo alleato di ferro: Donald Trump. Secondo il quotidiano Ynet, il presidente americano ha dato il via libera a una vasta operazione contro Hamas. Dopo il fallimento dei negoziati di Doha, Washington e Gerusalemme hanno convenuto che “non c’è più spazio per la diplomazia”.

Lo stallo è totale. Hamas chiede il rilascio dei detenuti per l’attacco del 7 ottobre. Israele pretende il disarmo totale e la permanenza militare in alcune aree della Striscia. Nessuna apertura, nessuna mediazione.

Nel frattempo, Netanyahu continua a tessere relazioni con attori internazionali. In pochi giorni ha parlato due volte con Vladimir Putin. I contenuti delle conversazioni restano riservati, ma il tempismo non passa inosservato con il premier israeliano che cerca sponde ovunque, mentre la comunità internazionale è sempre più critica verso la situazione a Gaza.

Esercito allo stremo. Il capo di Stato Maggiore si ribella

Ma la guerra, sul campo, ha un altro volto. L’esercito è stanco, esausto, logorato da mesi di combattimenti. Il capo di stato maggiore Eyal Zamir ha avvertito il gabinetto, “la bonifica totale della Striscia richiederà anni e rischia di uccidere anche gli ostaggi”.

Secca la risposta di Bibi, “se non è d’accordo, si dimetta”. E così pochi minuti dopo, ecco la controrisposta di Zamir che ha annunciato la cancellazione dello stato di “emergenza bellica”, attivato dopo il 7 ottobre, spiegando che i battaglioni sono esausti.

Dopo quasi due anni di guerra, con fino a 12 richiami per ogni riservista, i soldati sono al limite della tenuta fisica e psicologica. E molti generali non vedono alcuna “vittoria” all’orizzonte.

Gabinetto spaccato. L’ultradestra vuole la guerra totale

Nel gabinetto di sicurezza israeliano le fratture sono profonde. L’ala oltranzista, guidata dai ministri Bezalel Smotrich, Itamar Ben Gvir e Ron Dermer, spinge per l’occupazione completa della Striscia. Per loro, la guerra non è solo un mezzo ma è un progetto ideologico.

A opporsi, una parte trasversale dell’apparato di sicurezza dal capo del Mossad David Barnea, a quello dello Shin Bet, al ministro degli Esteri Gideon Sa’ar e il generale Nitzan Alon. Tutti mettono in guardia sui rischi umanitari e militari. Anche perché l’80% degli israeliani, secondo i sondaggi, vuole la fine della guerra, pur condividendo l’obiettivo di smantellare Hamas.

Nel mezzo di questo caos, Netanyahu stringe il pugno anche sul fronte interno. Il governo ha votato la rimozione della procuratrice generale Gali Baharav-Miara, in rotta con il premier e coinvolta nell’inchiesta sulle tangenti dal Qatar. Ma la Corte Suprema ha sospeso la decisione. Ma non è tutto. Bibi ha anche fatto fuori il presidente della commissione Esteri, colpevole di essersi opposto alla legge che esonera gli ultraortodossi dalla leva militare. Una mossa che alimenta le accuse di deriva autoritaria e acuisce il clima di tensione nel Paese.

Ex capi del Mossad, Shin Bet e IDF: “Hamas non è più una minaccia strategica”

L’opposizione non arriva solo dall’interno dell’esercito attivo. In un video diffuso in rete, decine di ex vertici della sicurezza israeliana – tra cui ex capi del Mossad, dello Shin Bet e delle forze armate – hanno chiesto pubblicamente la fine della guerra. In tutto, 600 ex funzionari hanno firmato una lettera indirizzata a Donald Trump, chiedendogli di fare pressione su Netanyahu per fermare l’offensiva e riportare a casa gli ostaggi.

Hamas non rappresenta più una minaccia strategica per Israele“, scrivono. La componente militare e governativa dell’organizzazione – affermano – è stata già neutralizzata. Il terzo obiettivo della guerra, quello più importante, ovvero la liberazione degli ostaggi, “può essere raggiunto solo con un accordo”.

Parole durissime anche da Einav Zangauker, madre di un giovane ostaggio, altro fronte fortemente contrario alla continuazione della guerra: “Il governo ha scelto la ‘soluzione finale’. Invece di salvarli, li stanno condannando alla morte”.

Intanto a Gaza la carestia avanza

Mentre la diplomazia vacilla e la politica litiga, a Gaza la situazione è fuori controllo. Le agenzie delle Nazioni Unite parlano di carestia già in atto. Chi non muore sotto le bombe, rischia di morire di fame. Israele promette l’ingresso di aiuti umanitari ma intanto solo a luglio, secondo l’Oms, 63 persone sono morte per malnutrizione, tra cui 24 bambini sotto i cinque anni. E il peggio, avvertono le agenzie Onu, deve ancora arrivare. Secondo l’IPC (Integrated Food Security Phase Classification), a settembre oltre 14.000 persone soffriranno di malnutrizione acuta grave.

Netanyahu insiste sulla guerra. Ma fuori da Gaza, è già una catastrofe umanitaria.

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