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Mps: il gup di Milano rinvia a giudizio Profumo Viola e Tononi per il filone Npl. Gli avvocati negano ogni illecito

Imagoeconomica

C’è ancora un filone che non è chiaro nella contorta vicenda che ha travolto il Monte dei Paschi di Siena negli anni tra il 2014 e il 2017: quello dei crediti deteriorati o Npl. Per rispondere di quella situazione è stato disposto ieri il rinvio a giudizio per gli ex presidenti del Mps Alessandro Profumo e Massimo Tononi, l’allora ad Fabrizio Viola e l’ex dirigente Arturo Betunio. E’ quanto ha deciso la gup Fiammetta Modica al termine dell’udienza preliminare che si è tenuta nell’aula bunker di Milano.

L’udienza preliminare riguarda i due filoni cosiddetti ‘ter’ e ‘quater’ (ora riuniti in un unico procedimento) sulla presunta errata contabilizzazione dei crediti deteriorati da parte degli ex vertici del Monte dei Paschi di Siena, nel periodo che va dal 2014 al 2017. La richiesta di rinvio a giudizio con l’accusa di false comunicazioni sociali è relativa al bilancio 2015 e alla semestrale 2016.

Gli avvocati dei quattro hanno sempre negato ogni illecito. MPS, in una nota, ha affermato che la decisione non ha alcun impatto sulla banca.

Le procedure NPL hanno portato sinora a 18 sentenze civili positive a favore di Banca MPS, che ha comunque sempre adottato, come in questo caso, politiche contabili conservative. Il caso rappresenta l’ultimo sviluppo di una serie di procedimenti legali legati al salvataggio del 2017 del creditore toscano in difficoltà. Secondo i documenti giudiziari, la procura di Milano ha sostenuto che il falso in bilancio dal 2014 al 2017 è stato utilizzato per occultare l’insolvenza della banca, il che avrebbe bloccato il salvataggio statale.

Il giudice di Milano ieri ha invece assolto altri cinque dirigenti del MPS, tra cui gli ex presidenti Alessandro Falciai e Stefania Bariatti, e l’ex amministratore delegato Marco Morelli, da tutte le accuse relative agli altri anni oggetto di indagine.

Il presunto reato riguarda l’errata classificazione dei prestiti come “in bonis” anziché “deteriorati”.
L’Italia ha immesso 5,4 miliardi di euro in MPS nel 2017 nell’ambito di una cosiddetta ricapitalizzazione precauzionale. Secondo le norme dell’Unione Europea, questa operazione si applica solo alle aziende sane, in modo che il denaro pubblico non venga utilizzato per coprire eventuali perdite effettive o previste. All’epoca il Tesoro italiano ha negoziato i termini del salvataggio con la Commissione europea e alla fine si è impegnato a ridurre la sua partecipazione nella banca, che dopo il salvataggio si attestava al 68%.

Sotto la guida dell’amministratore delegato Luigi Lovaglio, la banca si è ristrutturata, beneficiando di tassi di interesse più elevati e costi inferiori. Lovaglio ha raccolto 2,5 miliardi di euro a fine 2022 per finanziare i licenziamenti.

La vicenda ritorna dunque a galla per il nuovo filone, mentre tutto sembrava essere archiviato dalla decisione della Corte d’Appello di Milano che, a fine 2023, aveva assolto i vertici di Mps “perchè il fatto non sussiste”, radicalmente ribaltando la sentenza di primo grado del 2020. Quel verdetto riguardava il processo per falso in bilancio e aggiotaggio, incentrato sull’indagine relativa alla contabilizzazione dei derivati Santorini e Alexandria e la Corte d’Appello aveva emesso l’assoluzione in virtù della mancanza di prove a sostegno delle accuse.

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