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Mifid: 10 domande da fare al vostro consulente finanziario

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La normativa MiFID (intesa nel suo complesso: MiFID I + MiFID II) cambia in meglio le carte per il cliente retail, cioè il cittadino che investe i suoi risparmi. Mettendomi nella posizione del risparmiatore che si avvicina a un servizio di consulenza finanziaria personalizzata, come quella fornita generalmente da banche e altre istituzioni finanziarie, mi rendo conto che è materia noiosa e tecnica.

Quindi, anziché dissezionare la normativa, vado sul pratico. E vi propongo 10 domande da porre al vostro consulente finanziario, se ne avete uno (di norma si tratta di un dipendente della vostra banca, oppure un consulente finanziario che lavora per conto di una rete, oppure un consulente finanziario indipendente, o un agente assicurativo).

Facciamo prima di tutto il quadro della situazione dopo l’avvento, da gennaio 2018, di MiFID II. Uso un linguaggio terra terra per spiegare solo i concetti chiave. Me ne infischio dell’aderenza ai precisi termini tecnici, si va dritti al sodo.

I compiti del consulente

Il consulente/banca/asset manager che offre un servizio di consulenza finanziaria personalizzata (cioè su misura) deve tra l’altro fare le seguenti cose.

  • Deve conoscere accuratamente i suoi clienti, profilandoli attraverso il “questionario MiFID”, per capire che bisogni hanno, che obiettivi hanno, per quanto tempo possono investire, che livello di rischio possono sopportare, quanto ne sanno di investimenti, e via dicendo.
  • Deve ripetere regolarmente questa profilazione, perché la situazione può cambiare, sia per il cliente (per esempio, ha avuto tre gemelli) che per il prodotto (per esempio, ha cambiato drasticamente asset allocation) o per i mercati (per esempio, c’è stato un crash).
  • Si deve assicurare che gli investimenti siano adeguati al cliente, cioè che combacino con il suo profilo. Per esempio, soddisfacendo un bisogno che il cliente ha, senza farlo investire più a lungo di quanto non sia logico, oppure au contraire troppo a breve termine, oppure facendogli assumere troppo o troppo poco rischio, eccetera eccetera. So che avete capito.
  • Occorre verificare che sia sempre così: cioè che l’investimento resti adeguato al cliente nel tempo. Notate cortesemente che un investimento può andare bene per un cliente oggi, ma tra un mese potrebbe anche non essere così (per esempio il rischio finanziario può anche duplicare o triplicare di entità nel giro di pochi giorni, basta guardare un grafico dell’indice VIX per rendersene conto). Inoltre, le condizioni del cliente possono mutare, come si diceva prima.
  • Tutte le volte che il consulente finanziario propone di variare il portafoglio del cliente ci deve essere una buona ragione per farlo e occorre un’analisi costi-benefici che dimostri come nel complesso il nuovo portafoglio sia meglio del precedente. “Meglio” può significare che si avvicina maggiormente alle esigenze del cliente, oppure che la gestione del rischio migliora, magari attraverso una diversificazione più accurata, o che i costi sono inferiori, e via dicendo. La legge non dice esattamente cosa bisogna fare, dice però che la valutazione deve essere complessiva, a tutto tondo, e che deve risultare favorevole al cliente.
  • Ultimo ma non ultimo, deve mettere i costi in chiaro, espressi in valore assoluto, ossia in euro, e anche in percentuale sull’investito, evidenziando in particolare qual è il costo della consulenza finanziaria.

Ora, quanto appena scritto la dice lunga sull’industria italiana del risparmio gestito: è imbarazzante che sia la legge a dover imporre queste regole. Perché dovrebbero essere regole di ogni buona conduzione del business. Regole da corso di economia aziendale sui normali rapporto tra l’azienda e il cliente, con il cliente servito in modo funzionale ai suoi bisogni… Ma lasciamo stare.

Perché si sa, prima dell’avvento di MiFID II, che ha equilibrato un po’ il rapporto di forza tra offerta e domanda, nel mondo del risparmio gestito il modo classico di servire il cliente era quello di appioppargli il prodotto d’investimento più conveniente per il venditore/consulente, e non per il cliente, senza esplicitare la remunerazione del venditore/consulente, montando un enorme conflitto d’interesse ai danni dei risparmiatori.

Spesso, nei casi più patologici, secondo una logica di rapina degna del regno di Mordor. Ma ora è tutto molto meglio per chi investe: MiFID è vostra amica, cari risparmiatori.

Fatta questa doverosa premessa, ecco 10 domande da porre al vostro consulente finanziario, 10 spassionati consigli per ottenere il meglio da un servizio di consulenza finanziaria personalizzata.

1) Sei indipendente oppure no?

Sinceratevi subito di una cosa: se il consulente è indipendente (per esempio è una società di consulenti finanziari) o no (cioè appartiene a una rete bancaria o di ex promotori, che ora si fanno chiamare consulenti finanziari).

La cosa è spesso auto-evidente e non c’è bisogno nemmeno di chiederlo, almeno per i consulenti appartenenti alle reti maggiori. Ma, nel dubbio, chiedete e fatevi fornire le credenziali.

Questa informazione sull’indipendenza è preliminare e vi serve solo a inquadrare la situazione: un consulente non indipendente potrebbe agire in conflitto di interessi con voi, perché vi consiglierà solo prodotti commercializzati dalla sua azienda.

Ciò non è necessariamente un male, sia chiaro: se entrate in un negozio di abbigliamento monomarca o da un concessionario auto, giusto per citare due esempi familiari a tutti, è lo stesso e di solito non c’è nulla di male.

Spesso i consulenti non indipendenti hanno accesso a una gamma prodotti ampissima e hanno strumenti di supporto alle decisioni finanziarie di alto livello. Quindi, anche un consulente non indipendente può erogare ottima consulenza finanziaria. Tanto, se la consulenza è fatta bene o male, lo si capisce dalle domande successive.

Inoltre, il fatto di essere un consulente indipendente non è necessariamente sinonimo di qualità, bensì solo di indipendenza di giudizio (almeno in linea di principio): nella categoria degli indipendenti trovate sia grandi professionisti sia scappati di casa.

Comunque, ripeto, questa cosa della dipendenza/indipendenza è da sapere per inquadrare il vostro interlocutore e usare il buon senso.

2) Come sono profilato?

Fatevi raccontare dal consulente come siete profilati, cioè qual è il vostro DNA finanziario secondo il questionario e gli altri dati a disposizione del consulente. Cioè: su quali presupposti di conoscenza del cliente si basa la consulenza personalizzata?

Potreste scoprire cose che non immaginavate su di voi, grazie all’esperienza del consulente e alla tecnologia al suo servizio. Oppure, all’opposto, potreste scoprire che non vi hanno profilato bene e che state partendo con il piede sbagliato. Sarete così in tempo per correggere il tiro.

3) Perché mi proponi questo investimento?

Fatevelo spiegare bene: quale vostro bisogno soddisfa? In che modo è funzionale ai vostri obiettivi d’investimento? Insomma, in che modo è adeguato a voi?

4) Perché proprio questo strumento finanziario?

Se si sta parlando di un singolo prodotto (per esempio un fondo, una polizza unit-linked), fatevi spiegare come e perché si inserisce virtuosamente nel vostro portafoglio.

Cioè: in che modo si incastra nel portafoglio complessivo? Che funzione ha? Riduce il rischio? Aumenta le probabilità di ottenere buone performance? Eleva la redditività del portafoglio in termini di cedole/dividendi? Ha una funzione di copertura da qualche rischio incombente?

Tenete sempre presente che, anche se si parla di un singolo strumento finanziario, una buona consulenza finanziaria personalizzata dovrebbe guardare all’insieme degli investimenti, cioè al portafoglio (a meno che non sia voluto diversamente in modo esplicito, per motivi specifici, per esempio una perizia su un determinato investimento).

5) Quali rischi ha l’investimento?

Attenzione: se non rischiate, non guadagnate. Non c’è scampo, mettetevelo bene in testa. Occorre assumersi rischi. Ma i rischi devono essere coerenti con voi, le vostre esigenze, il vostro profilo, il vostro genoma finanziario. Quindi fatevi spiegare bene quali sono i rischi dell’investimento che state vagliando.

E chiedete quale può essere l’andamento dell’investimento in relazione a diversi possibili scenari di mercato. Se non capite a livello intuitivo ciò che vi dice il consulente, se vi sembra una cosa troppo complessa, non investite. Oppure fatevi spiegare meglio, finché non avrete capito e sarete autenticamente convinti.

6) Quali sono i costi associati all’investimento?

Parliamo di dettaglio dei costi: eventuali costi d’ingresso e di uscita, commissioni di gestione e di performance (se presenti), costi di consulenza, eventuali penali, eccetera. Tutto.

Fatevi spiegare bene le varie voci, come, quando e perché entrano in gioco. In particolare, chiedete quanto costa la consulenza ogni anno. E non fate finta di capire: fatevi spiegare bene tutto e ascoltate con i neuroni accesi, perché quelli sono soldi vostri.

7) Che cosa prevede, esattamente, la consulenza finanziaria in questione?

Cioè: qual è il suo contenuto concreto? Tenete presente che spesso il costo della consulenza equivale a tanti (vostri) soldi, sicché è meglio sapere in che cosa si sostanzia. Così potrete valutarlo, anche in relazione a delle alternative.

8) Perché mi stai proponendo una gestione patrimoniale?

Se vi propongono una gestione patrimoniale, la domanda è d’obbligo. Perché, sappiatelo, le gestioni patrimoniali consentono di “annegare” i costi della consulenza in un’unica voce insieme ai costi di gestione, proprio com’era prima di MiFID II.

Attenzione: ci sono in giro ottime gestioni patrimoniali, professionali, con costi giusti (la qualità professionale si paga), quindi non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Ma ci sono anche molte società che hanno semplicemente dirottato i clienti dei fondi comuni sulle gestioni patrimoniali per non dover spiegare l’imbarazzante entità dei propri costi.

9) Perché cambiamo il portafoglio?

Quando vi propongono un ribilanciamento del portafoglio, per esempio la sostituzione di un investimento con un altro (uno switch), fatevi spiegare perché e in che modo ciò è di giovamento al vostro portafoglio di investimenti. Con fatti e numeri alla mano e spiegazioni che reggano a una valutazione di buon senso.

10) Chiedete, chiedete, chiedete (questa non è una domanda, ma va bene lo stesso)

Non fermatevi alle apparenze. Fatevi spiegare tutto ciò che non capite: se pagate per la consulenza, ne avete il pieno diritto. E se il consulente è bravo, sarà felice di farlo e di condurvi per mano attraverso la materia. Ascoltatelo, con fiducia, ma criticamente.

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Molte di queste informazioni sono presenti nella documentazione fornita prima dell’investimento. Ma non basatevi su questo presupposto, perché tante informazioni sono riportate in un linguaggio tecnico in documenti che possono risultare pesantucci.

Nel caso dei costi, poi, meschinamente, svariate aziende del risparmio gestito hanno inserito il dettaglio dei costi in punti della documentazione non particolarmente evidenti, nella speranza che i clienti non si soffermino su di essi. Deprimente.

Ricordatevi: il bello dell’avere di fronte un consulente finanziario è che potete chiedere informazioni a lui e pretendere spiegazioni comprensibili a tutti. Può essere il vostro coach finanziario. Non siate imbarazzati e non abbiate paura di fare domande.

FONTE: ADVISE ONLY

Categories: Risparmio