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Le librerie indipendenti risorgono, la scommessa di Foyles a Londra

2011-2013: librerie, adieu

Fino a qualche anno fa dopo dopo la tigre siberiania, sembrava il libraio il mammifero più prossimo all’estinzione. Nei paesi sviluppati nessuno avrebbe investito un euro per aprire una libreria. James Daunt, il boss della catena di librerie Waterstones, preso dalla disperazione aveva deciso di dedicare un corner dei negozi della catena all’esposizione e alla vendita dei Kindle e dotato i locali di wi-fi così che i clienti potessero scaricare un ebook a un prezzo più basso del libro che avevano trovato e sfogliato sui tavoli e sugli scaffali della libreria. “Almeno qualcuno entra e si vende qualcosa” aveva dichiarato scoraggiato. Solo pochi mesi prima si era scagliato come una furia contro Amazon accusandola di essere un flagello di Dio per il business del libro. Sembrava l’epilogo dell’assedio di Famagosta.

L’anno prima, la chiusura della catena americana Borders aveva buttato nel panico tutto il settore. “Faremo la fine della musica” si dicevano i manager delle case editrici, soprattutto dopo la loro condanna, in compagnia di Apple, per violazione della legge antitrust. Era stato lo stesso Steve Jobs ad accogliere la loro supplica di mettere in campo la Apple per limitare l’influenza di Amazon. Ma l’operazione non era piaciuta al Dipartimento della Giustizia (DoJ) dell’amministrazione Obama che nel 2012 aveva aperto un’inchiesta antitrust sull’accordo Apple-editori. Una storia ampiamente raccontata anche sul nostro blog. A quel punto sembrava essere stata pronunciata non una semplice sentenza, ma il de profundis di un’industria secolare e importante per lo sviluppo umano.

2014-2015: ebook, adieu

Poi è successo qualcosa: c’è stato il contrattacco e invece dell’apocalisse si è visto l’effetto Lazarus. Nei tre anni successivi è accaduto l’inimmaginabile a tal punto che la stessa Amazon ha aperto una sua libreria e ha annunciato di aprirne altre (si dice tre negozi all’anno). Ora ce ne sono due, una a Seattle e l’altro a San Diego. C’è stata una sorta di resa dei conti à la Waterloo. Gli editori, i grandi autori, i librai e i grossisti si sono coalizzati contro Amazon come si coalizzarono tutte le potenze europee contro Napoleone che le teneva in scacco sul piano militare e politico.

Questa coalizione degli incumbent contro l’innovator di turno ha deciso di fare una mossa audace con una determinazione insolita: ha messo una sorta di embargo o, meglio, di dazio sugli ebook, il terreno sul quale Amazon li stava scardinando. Sostanzialmente hanno detto ai propri clienti: “volete gli ebook dei grandi scrittori e volete comprarli su Amazon? Bene, allora pagateli più del libro”. Una scelta che poteva veramente essere sciagurata, e in parte lo è lo è anche stata, visto che quello degli ebook era il segmento del business degli editori tradizionali in maggiore crescita e con margini più alti. Ma non importa perché il controllo del business è più importante. Le grandi firme dell’editoria libraria, come Philip Roth, Donna Tart, James Patterson, Jonatha Franzen e altri novecento, si sono accodate agli editori e, alla fine, ci hanno messo la faccia arrivando ad acquistare intere pagine di giornale per mettere alla gogna Amazon. Anche per loro è stata una bella decisione visto che oltre metà dei loro ricavi viene dagli ebook e dai nuovi media.

Questa strategia di ritirarsi facendo terra bruciata, che somiglia a quella messa in atto da Kutuzov nei confronti di Napoleone in Russia, ha funzionato alla grande. A Natale 2014 lo stesso James Daunt, che si era pubblicamente umiliato, annunciava trionfante “l’ebook è morto!” e ha tolto di mezzo il corner delle librerie dedicato ai Kindle per tornare a metterci i libri. Il wi-fi è rimasto, tanto nessuno scaricava più gli ebook che, dopo lo sconto attuato sui libri, costavano quando gli hardcover e più dei tascabili. La scommessa era riuscita: i consumatori erano tornati a comprare i libri e a preferirli alle loro versioni elettroniche. Una lezione da manuale di resilienza.

Un grande investimento sul libro da parte degli editori

Merito dell’aumento dei prezzi, ma non solo di quello, perché sarebbe anche un demerito. I grandi editori americani (le big five) hanno deciso di investire decine di milioni di dollari nella filiera distributiva del libro cioè quella che fa arrivare il manufatto al punto vendita. Hanno costruito nuovi centri di distribuzione in luoghi strategici, ottimizzato le procedure di ordine e rifornimento delle librerie così da competere con il servizio di Amazon e minimizzare le rese, così da approvvigionare le librerie quasi in tempo reale. Penguin Random House ha investito 100 milioni di dollari in questa impresa e adesso è in grado di evadere gli ordini in due giorni nel periodo di punta, da novembre a gennaio. Inoltre ha aggiunto 34mila metri quadri al suo hub distributivo a Crawfordsville nell’Indiana. Harper Collins ha fatto la stessa operazione. Le consegne veloci hanno permesso alle librerie di effettuare dei piccoli ordinativi e di rifornire in brevissimo tempo il loro stock con la conseguenza che le rese sono diminuite del 10%.

Le imprese, come Procter & Gamble, che lavorano per la grande distribuzione hanno fornito il modello organizzativo e procedurale agli editori. Per esempio, ogni giorno Penguin Random House traccia circa 10 milioni di transazioni e sulla base dei dati raccolti è in grado di prevedere gli ordinativi dei singoli titoli da parte delle librerie. Ad Alexandra Alter del “New York Times”, che riporta queste informazioni, Markus Dohle, CEO di Penguin Random House, ha dichiarato “È una cosa molto semplice, si vendono i libri che sono sugli scaffali”. Un grandissimo passo in avanti per la sostenibilità del business.

Un grande investimento sulla professionalità da parte dei librai

Negli Stati Uniti la terapia anti-Amazon ha funzionato a dovere: la gente è tornata nei negozi e ha cominciato a entrare nelle librerie indipendenti dove il supporto alla vendita non è affidato a lavoratori interinali, ma a veri e propri professionisti che conoscono la merce libro meglio degli editori stessi. A soffrire sono invece le grandi catene come Barnes&Noble che continua a perdere soldi e a chiudere negozi. Alla situazione che si è venuta a verificare nella più grande catena di librerie del mondo dedicheremo un prossimo post.
Negli Stati Uniti le librerie indipendenti hanno invece il vento in poppa e stanno vivendo una sorta di luna di miele con i lettori. Dal 2009 al 2016 oltre 100 nuove librerie hanno aperto in tutto il paese: secondo L’American Booksellers Association (ABA) le librerie indipendenti sono passate da 1651 nel 2009 a 1755 nel 2016 con un aumento del 28,5%. Le località in cui opera una libreria indipendente sono 1651, nel 2009 erano 1410, 250 di più. Meno fortunati dei librai americani sono stati i librai nel Regno Unito e in Irlanda, l’altro grande mercato in cui il prezzo del libro non è fissato per legge. Qui si è avuto un declino considerevole: dal 2009 al 2014 il saldo negativo delle librerie indipendenti è del 25%.

I paesi dell’Europa occidentale, come la Francia e la Germania, dove il prezzo del libro è fissato per legge il numero delle librerie indipendenti è rimasto costante perché, come ha dichiarato al “New York Times”, Guillaume Husson, rappresentante dei librai francesi, il prezzo fisso ha protetto le librerie indipendenti dalla “politica di sconti aggressivi che è stata fatale per l’ecosistema delle librerie in paesi come il Regno Unito”. La stessa valutazione però non vale per gli Stati Uniti dove sono state proprio le catene degli sconti aggressivi ad essere danneggiate da Amazon e dai nuovi soggetti del mercato.

Oren Teicher, dell’ABA, spiega il boom delle librerie indipendenti negli USA, con la politica di innovazione messa in atto dagli editori e dagli stessi librai grazie anche alle nuove tecnologie. Insieme alla tecnologia sta diventando decisivo il ruolo del libraio stesso quale vero e proprio “curatore” culturale in un mercato ormai inondato di titoli. Alla rinascita delle librerie, secondo Teicher, ha anche contribuito un movimento d’opinione che ha conquistato i consumatori più sensibilizzati come in genere sono i lettori. Si tratta della la tendenza ad acquistare localmente i prodotti che si riesce a reperire nell’area in cui si vive o si trova. Una tendenza conosciuta da noi come chilometro zero.
Spostiamoci adesso a Londra dove si è consumato l’esperimento più significativo della resurrezione delle librerie indipendenti.

Foyles, il tempio dei libri

A Londra, Foyles è una libreria veramente leggendaria in una via altrettanto leggendaria via per gli amanti del libro, Charing Cross Road. Se volessimo fare un parallelo con l’Italia, potremmo spostarci nel centro di Milano in via Hoepli dove l’omonima libreria sembra proprio una Foyles italiana. Come Foyles si sviluppa su più piani e contiene un numero sterminato di libri di tutti i generi, presidiati da un personale esperto e allenato. Chiedete un titolo e l’addetto al piano sa dove cercarlo, conosce a memoria l’editore, la data di edizione e alle volte di numero di pagina. Nelle librerie delle grandi catene il personale va a cercare sul computer anche se gli viene chiesta un’opera di Dante Alighieri.

Foyles , con il su mezzo milione di libri, potrebbe definirsi come la più grande libreria del mondo. Chi ha comprato dei libri a Foyles nel scorso secolo si ricorderà le tre code che occorreva fare per entrare in possesso dell’acquisto: una prima coda al piano per ricevere una nota con la quale recarsi alla cassa posta al piano terreno dove c’era una seconda fila da fare, una volta pagato si doveva tornare al piano, mettersi in coda, mostrare la ricevuta di pagamento e finalmente ritirare il libro.

Sebbene questo sistema fosse stato architettato per limitare i furti, quest’ultimi erano memorabili. C’è uno scatto dei paparazzi che ritrae Liz Taylor mentre trafuga una copia di un libro di poesie. Foyles era soprattutto un grande e rassicurante caos, con libri accatastati sulle scale, negli angoli liberi dagli scaffali e in fila multipla sugli scaffali stessi. C’era però un problema, i margini erano scomparsi e spesso operava in perdita.

Una nuova casa per Foyles per un nuovo modello di libreria

Alla fine del 2014 Foyles si è trasferita a 100 metri dal negozio storico negli locali nell’ex scuola d’arte Central Saint Martins, un prestigioso edificio in stile art deco, ma molto più ampio e accogliente di quello inaugurato nel 1929. Al Central Saint Martins hanno studiato stilisti come Alexander McQueen, Hussein Chalayan, Stella McCartney e John Galliano. I locali dell’ex-scuola sono stati ristrutturati per farne degli spazi aperti, luminosi e soleggiati con soppalchi sfalsati, in modo che sia sempre possibile intravedere il livello successivo, mezzo piano sopra. Ci sono la bellezza di 7,5 chilometri di scaffali di libri disposti su quattro piani. Il Comune di Londra ha dato la sua approvazione al trasferimento e alla riconversione dell’edifico a destinazione d’uso commerciale, curata dallo storico studio di architetti Lifschutz Davidson Sandilands, proprio perché Foyles è una vera e propria istituzione della capitale britannica.

Si è trattato di un investimento consistente per la famiglia Foyle che ha scommesso sul principio che la libreria deve diventare un “un luogo che consenta che le cose accadano”, cioè una sorta di centro culturale multifunzione a tutto tondo. Un obiettivo irrealizzabile nel vecchio negozio “caotico ed inefficiente, un dedalo anche se ai clienti piacciono i recessi e le nicchie, l’intimità” ha dichiarato Christopher Foyle, l’ultimo membro della famiglia a dirigere l’attività.

Questo, naturalmente, non è solo un posto per i libri. Il nuovo asseto della libreria è incentrato sull’esperienza. E Foyles era già stato all’avanguardia per quanto riguarda il “valore aggiunto” che i libri possono procurare al business. Letture, club di lettori, pranzi ed eventi letterari qui si tenevano sin dagli anni ’20. Con un’ampia nuova galleria per gli eventi con pareti in vetro prospiciente l’atrio ed il ripristino del jazz bar, la famiglia Foyles e gli architetti hanno fatto ogni sforzo per rendere questo il luogo in cui le cose possono accadere e generare un afflusso di pubblico di giorno e di notte.

Ritorno all’utile

Nel giugno 2014 al momento dell’apertura del nuovo negozio Christopher Foyles ha dichiarato al “Financial Times”: “Non credo che nessuno di noi sappia come andrà a finire questa attività da qui a dieci anni”. Bene a giugno 2016 due anni dopo, la scommessa sembra vinta: l’attività è tornata all’utile operativo e le vendite sono cresciute di un robusto 10%  anche negli altri negozi Foyles a Westfield Stratford City, alla stazione Waterloo, alla Royal Festival Hall e al centro commerciale di Cabot Circus a Bristol. Un altro negozio si trova anche nell’avveniristico centro commerciale Grand Central di Birmingham.

È forse tornato il momento di aprire nuove librerie con un nuovo concetto di negozio? Per ora ad averlo capito fino in fondo è proprio Jeff Bezos, che sembra aver appreso la lezione dell’antica Roma nei confronti della Grecia classica. Come Roma, Bezos ha i mezzi per farlo e farlo bene. La concorrenza è avvertita.

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