Tempesta in casa Gucci. I sindacati Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno proclamato lo stato di agitazione per circa 1.000 dipendenti del comparto retail di Gucci Italia, addetti alle vendite e alla logistica, dopo che l’azienda ha rifiutato di erogare il pacchetto welfare previsto dal contratto integrativo attualmente in “ultravigenza”.
L’accordo, firmato nel luglio 2022 e scaduto a fine 2024, prevedeva un’erogazione annuale di circa 600 euro a favore dei lavoratori. Secondo quanto denunciano le organizzazioni sindacali, la direzione aziendale aveva assicurato più volte la continuità del beneficio anche per il 2025. Ma l’impegno, oggi, sembra svanito e l’azienda intende ora subordinare l’erogazione a una revisione complessiva del sistema di incentivi valido nel triennio 2022-2024.
I sindacati: “Gravissimo voltafaccia, pronti ad azioni territoriali”
Dura la risposta delle sigle sindacali. In una nota congiunta, accusano il colosso del lusso di “un comportamento strumentale”, colpevole di aver “fatto trascorrere tempo prezioso prendendosi gioco delle lavoratrici e dei lavoratori”. E respingono con forza l’idea di una trattativa al ribasso: “Non cadremo nella logica di uno scambio che toglie tutele da una parte per spostarle da un’altra”.
Il clima si è fatto teso in tutta la rete vendita nazionale. Le organizzazioni sindacali non escludono ulteriori mobilitazioni, da articolare su scala territoriale nelle prossime settimane. “Riteniamo molto grave l’atteggiamento dell’azienda – affermano – e per questo proclamiamo lo stato di agitazione a livello nazionale”.
Un segnale d’allarme per tutto il comparto moda
Il caso Gucci si inserisce in un momento già delicato per il mondo del fashion. Se da un lato cresce la sensibilità pubblica verso le condizioni dei lavoratori lungo tutta la filiera, come testimonia il dibattito sull’introduzione di un albo dei fornitori per contrastare il caporalato (vedasi il recente caso Armani), dall’altro anche il settore del lusso comincia a mostrare crepe nelle relazioni industriali.
Il welfare integrativo, strumento sempre più centrale nei contratti di secondo livello, rischia di diventare terreno di scontro. E il messaggio che arriva da uno dei marchi simbolo del made in Italy è destinato a fare rumore.
I conti di Gucci: marchio sotto pressione, vendite in caduta
La tensione interna arriva in un momento particolarmente delicato per Gucci anche sul fronte economico. Nel primo semestre 2025, il marchio ha registrato un crollo delle vendite del 26%, scendendo a 3 miliardi di euro contro i 4,1 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente. Solo nel secondo trimestre, il calo è stato del 27%, con ricavi fermi a 1,46 miliardi — in linea con le stime, ma comunque un segnale evidente di crisi.
La controllante Kering, nonostante Gucci, ha chiuso il semestre con ricavi in crescita del 7,1% a 8 miliardi e un utile operativo ricorrente salito a 3,3 miliardi (+6%). L’utile netto, penalizzato da un contributo straordinario in Francia, si è attestato a 2,2 miliardi (2,5 miliardi al netto dell’impatto fiscale).
Ora le attese sono tutte per il nuovo Ceo del Gruppo, Luca De Meo, in arrivo il 15 settembre, e per la prima collezione completa firmata da Demna, attesa nei negozi nel 2026. Il tempo stringe, i conti peggiorano, la tensione cresce, e l’immagine del brand vacilla.