X

Fondi sovrani e banche centrali puntano su bond, oro e renminbi

Pixabay

I fondi sovrani si spostano sull’obbligazionario che nel 2018 ha superato per la prima volta le azioni, diventando la principale asset class d’investimento.

Lo rivela Invesco nel report annuale “Invesco Global Sovereign Asset Management Study“, nel quale si analizzano le attitudini all’investimento di fondi sovrani e banche centrali attraverso interviste dirette tra 139 singoli investitori sovrani e responsabili di banche centrali di tutto il mondo (71 banche centrali rispetto alle 62 del 2018), rappresentativi di asset per 20,3 trilioni di dollari americani.

Scendendo nei dettagli, il 2018 è stato un anno difficile per i bond sovrani, soprattutto a causa del ribasso complessivo dei rendimenti. Nonostante ciò, a fine anno, gli investitori sovrani hanno conseguito comunque un rendimento del 4%. Un risultato positivo, seppur in netto ribasso rispetto al 2017 quando i rendimenti avevano toccato quota 9%, in particolare se si tiene conto dell’andamento negativo delle azioni che,  stando all’indice MSCI World, nel corso dell’anno hanno registrato una flessione dell’8,7%.

“La maggioranza dei fondi sovrani (89%) prevede la fine del ciclo economico entro i prossimi due anni – si legge nel report – Questo elemento, unitamente ai timori sulla volatilità e alla prospettiva di rendimenti azionari negativi, ha portato a incrementare le allocazioni alle obbligazioni e la diversificazione nelle allocazioni alle infrastrutture, al settore immobiliare e ai mercati di private equity”. 

Parlando in percentuali, l’allocazione media ai bond è salita dal 30% del 2018 al 33% del 2019. Le azioni hanno registrato un andamento perfettamente inverso, scendendo dal 33 al 30% e ponendo fine a un trend quinquennale (2013-2018) durante il quale il comparto obbligazionario ha perso importanza (dal 35% al 30%) mentre le azioni hanno registrato forti incrementi. 

Oggi le obbligazioni sono dunque diventate l’investimento preferito dei fondi sovrani che dal punto di vista geografico, dal 2017 a oggi hanno puntato soprattutto sulla Cina. “Dal 2017 – spiega Invesco – l’attrattività della Cina per gli investitori sovrani è cresciuta molto di più rispetto a quella delle altre regioni. Circa l’82% degli investitori sovrani ha citato le tensioni commerciali tra i fattori che hanno avuto un’influenza sulle decisioni di asset allocation, eppure l’attrattività della Cina quale destinazione d’investimento nei prossimi tre anni ha registrato un punteggio di 6,1 su 10, in netto aumento rispetto a un rating di 5,2 nel 2017”. Alla base di questa tendenza c’è soprattutto l’impegno di Pechino a tutelare la proprietà intellettuale, l’inclusione della Cina nella maggior parte degli indici obbligazionari e le iniziative, come Bond Connect, “che offriranno agli investitori stranieri l’accesso al mercato obbligazionario locale”. “La trasparenza – continua il report – rimane un ostacolo significativo per i fondi sovrani che intendono incrementare le allocazioni alla Cina, mentre per quelli che non sono esposti al Paese del Dragone, i principali impedimenti sono rappresentati dalle restrizioni agli investimenti e dal rischio valutario. 

Volgendo lo sguardo sul Vecchio continente, lo scenario cambia radicalmente. I rischi politici, il rallentamento della crescita, la Brexit, l’ascesa dei movimenti populisti stanno fortemente incidendo sulle decisioni di asset allocation dei fondi sovrani. “Di conseguenza l’Europa è caduta in disgrazia, e quasi un investitore sovrano su tre ha diminuito le proprie allocazioni nel 2018 e un numero analogo intende procedere nello stesso modo nel 2019”. Parlando in percentuali: nel 2019 solo il 13% degli investitori sovrani prevede di incrementare le allocazioni all’Europa rispetto al 40% che aumenterà le allocazioni all’Asia e al 36% che aumenterà le allocazioni ai mercati emergenti. 

Per quanto riguarda le banche centrali, l’attuale l’incertezza e la parallela aggressività della Federal Reserve ha indotto molte di loro a trovare una sicurezza nelle allocazioni ai depositi e, in alcuni casi, all’oro. Nel dettaglio, l’anno scorso gli istituti centrali hanno acquistato nel 2018 651,5 tonnellate di oro, il secondo picco più alto di sempre (+74% rispetto al 2017). Senza contare che il 32% prevede ulteriori aumenti nei prossimi 3 anni, nonostante le difficoltà legate all’oro come bene di riserva tra cui la volatilità, i costi di deposito e le implicazioni politiche della vendita.

Alla base delle varie strategie però non c’è solo l’oro, ma anche i depositi bancari. In questo contesto “il principale beneficiario è stato il renminbi – continuano gli analisti di Investco -, e tra il 2017 e il 2018 le allocazioni alla valuta cinese hanno superato quelle al dollaro australiano e canadese, con il 43% delle banche centrali che ora detiene renminbi in portafoglio a fronte del 40% nel 2018. Oltre un quarto (27%) delle banche centrali prevede di aumentare le riserve di renminbi nel 2019; la valuta cinese è destinata a diventare la valuta preferita nel 2020, e si prevede che l’aumento di questa allocazione andrà a scapito del dollaro USA, dell’euro e della sterlina”.

Related Post
Categories: Risparmio