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Euro forte e Piazza Affari al top: ora che fare? L’analisi di Ubs

Tra le principali sorprese per i mercati nel 2017 si possono annoverare il recupero dell’euro contro tutte le principali valute, in particolare il dollaro, e la borsa italiana che ha registrato la migliore performance nell’eurozona. Si tratta di temi strettamente collegati tra loro in un delicato equilibrio: da una parte la forza dell’euro può rappresentare un freno alle esportazioni italiane, dall’altra l’Italia è la terza economia nell’eurozona e la sua salute (sia economica che politica) influisce sull’interesse degli investitori nella moneta unica.

Dall’inizio dell’anno, l’euro ha recuperato oltre il 12% nei confronti del dollaro. Si tratta di una rimonta che avevamo anticipato sottopesando il dollaro che, a nostro avviso, stava rivestendo due ruoli tra loro incompatibili: bene rifugio per gli investitori che temevano le elezioni francesi e valuta più speculativa per i fondi che volevano scommettere sulla borsa americana a leva, indebitandosi in euro o yen per beneficiare di tassi più bassi. In aggiunta, il cambio eurodollaro era troppo basso rispetto al suo valore teorico.

Quando il cambio ha raggiunto 1.20 – il livello massimo che ci eravamo dati su un orizzonte temporale di breve-medio termine – abbiamo deciso di chiudere il sottopeso sul dollaro prendendo profitto. E ora? Per il momento rimaniamo neutrali. Ci sembra che la BCE non gradisca un cambio euro-dollaro superiore a 1.20 e, se si dovesse andare oltre questa soglia, potrebbe continuare più a lungo la sua politica monetaria espansiva per mitigare il cambio. Inoltre, la Federal Reserve potrebbe alzare i tassi nuovamente prima della fine dell’anno dando sostegno al dollaro.

Anche la borsa italiana da inizio anno ha registrato una performance brillante ed è risultata la migliore nell’eurozona nonostante le temute elezioni politiche che, probabilmente, si terranno a inizio 2018. Crediamo che ci siano tre fattori principali che hanno guidato il mercato italiano; uno di questi – controintuitivamente – è proprio la politica.

Prima di tutto, ci sono stati buoni dati economici. Il PIL italiano è cresciuto dello 0,4% nel secondo trimestre, portando il tasso annuale all’1,5%, il più alto degli ultimi sei anni. La crescita dovrebbe continuare nei prossimi trimestri, ma decelerando per via della forza dell’euro e, nel 2018, di una finanziaria restrittiva. Un rilancio degli investimenti fissi lordi, una voce del PIL che non si è mai ripresa dall’inizio della crisi, potrebbe rappresentare un ulteriore motore di crescita, ma è difficilmente ipotizzabile in un contesto di incertezza politica.

Altrettanto importanti sono state le ricapitalizzazioni delle banche in difficoltà. Per i gruppi più rilevanti sono state eseguite sui mercati, per gli istituti in crisi tramite il doloroso coinvolgimento degli obbligazionisti subordinati e con l’intervento dello Stato. Un importante rischio sistemico è comunque venuto meno, contribuendo al ritorno degli investitori internazionali sul mercato italiano.

Infine la politica. Nel corso dell’estate non si sono registrate grandi variazioni nei sondaggi sulla base dei quali, con le attuali regole, difficilmente sarebbe realizzabile una duratura coalizione di governo. Lo spettro dell’ingovernabilità non è quindi rimosso, ma si sono abbassati notevolmente i toni nei confronti dell’euro: i movimenti politici che spingevano per un referendum (peraltro non contemplato dalla Costituzione) sembrano essersi ricreduti sulla possibilità di uscire dalla moneta unica. Nel complesso, si tratta di buone notizie.

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