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Da Milano a Torino a Roma: ecco il welfare di condominio

In principio, lo scorso inverno, è arrivata la “badante di condominio”: su iniziativa del Comune di Milano, con un progetto finanziato tramite un bando da 1,2 milioni di euro della Fondazione Cariplo, è nato il primo servizio di “welfare condominiale” o “sharing welfare” che dir si voglia: il Comune risparmia perché fornisce un servizio a più famiglie con meno personale, e la città ci guadagna in buoni rapporti di vicinato. Il servizio è inoltre gratuito per i poveri e a prezzi calmierati per tutti gli altri che ne fanno richiesta.

L’esperimento milanese ha dato poi il via a una nuova tendenza, e ora tutte le altre grandi città italiane si stanno organizzando: la crisi infatti ha colpito al cuore il sistema del welfare; non solo quello pubblico, ma anche il “welfare autogestito”. Secondo una recente indagine Censis-Fondazione Generali, per molte famiglie l’impegno economico per il pagamento delle badanti è diventato insostenibile. Si stima che in 120mila abbiano dovuto rinunziarvi. E quanti hanno “resistito” l’hanno fatto spesso a prezzo di sacrifici molto pesanti, come l’utilizzo di tutti i risparmi o, addirittura, la vendita della casa.

Questo cortocircuito determinato sostanzialmente dall’incontro tra la crisi economica e l’invecchiamento della società è all’origine della sperimentazione di nuovi modelli di intervento. Non solo nell’assistenza agli anziani – come nel caso del Comune di Milano – ma anche nel sostegno alle famiglie in difficoltà. Interventi che hanno in comune l’obiettivo di ridare vita a sistemi di relazioni solidali che nessuna azione istituzionale è in grado di sostituire.

A Torino per esempio è partito già nel 2003, ma sta prendendo piede di recente, il progetto “Una famiglia per una famiglia”, promosso dalla Fondazione Paideia. Il modello di riferimento è ben noto ed è anche antico: in diverse situazioni, specialmente in passato, funzionava spontaneamente e si chiamava “buon vicinato”. Solo che in questo caso l’incontro tra le due famiglie si realizza all’interno di un progetto che dura un anno ed è sostenuto da un tutor il quale, a sua volta, è in contatto con l’assistente sociale che segue la famiglia in difficoltà.

Il sostegno che la “famiglia affiancante” offre non si riferisce solo ai bisogni materiali, ma riguarda tutti gli aspetti della vita quotidiana. Un caso concreto è quello di famiglie formate da un solo genitore e prive di punti di riferimento parentali. Nato a Torino, il progetto si è poi esteso a varie aree di Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Valle d’Aosta, Abruzzo ed è da poco arrivato anche a Roma, tramite una collaborazone tra la Caritas e l’assessorato alle Politiche Sociali. Fino a ora sono stati attivati in tutto circa 300 “affiancamenti” con 500 bambini coinvolti. La sperimentazione nella Capitale (che inizialmente riguarda otto famiglie) è un passaggio importante verso l’obiettivo di fare di questa pratica un’alternativa stabile all’affido del singolo bambino. Farne, cioè, una politica sociale ordinaria anche a livello nazionale.

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