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Cina: i due obiettivi della svalutazione e i tre effetti possibili

L’obiettivo del cambio di regime del Renminbi (o Yuan) sembra duplice: 1) riformare il sistema di scambio dello Yuan per avvicinarlo a meccanismi “di mercato”; 2) stimolare la crescita economica del Paese, ora in affanno, favorendo la ripresa delle esportazioni. Per quanto riguarda il primo punto, la PBoC ha come obiettivo quello di far guadagnare al Renminbi lo status di Reserve Currency; a tal fine è necessario che il calcolo del fixing (valore ufficiale di scambio) sia determinato da forze di mercato (cioè dalle banche commerciali) e dalla PBoC.

In passato, il FMI ha riscontrato un constante disallineamento tra tasso ufficiale (pubblicato dalla PBoC) e tasso spot giornaliero (al quale avvengono gli scambi tra le banche). Inoltre, la PBoC ha anche dichiarato di voler introdurre ulteriori misure per aprire agli operatori esteri il proprio mercato dei cambi e per meglio allineare i mercati offshore e onshore. Il FMI ha infatti commentato favorevolmente l’iniziativa cinese, anche se ha indicato in 2-3 anni il periodo necessario per una corretta transizione da un regime di cambio amministrato (com’è il crawling peg vs Dollaro USA adottato sinora) ad uno di libera fluttuazione.

Ma c’è chiaramente un altro, più importante motivo dietro la mossa della PBoC, e cioè l’intenzione di stimolare, o almeno non danneggiare, la crescita economica cinese. Una lettura in controluce della svalutazione apportata conferma il sospetto che la crescita della Cina sia minore di quella ufficialmente riportata dalle statistiche di fonte governativa, e l’ultimo dato sulle esportazioni è stato probabilmente la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, spingendo le autorità a questa mossa a sorpresa per sostenere l’economia.

D’altro canto l’ancoraggio dello Yuan al Dollaro USA ne aveva determinato un apprezzamento significativo (circa il 12,5%) in termini reali effettivi (contro il paniere di valute commercialmente rilevanti). Quindi un parziale sganciamento dalla valuta USA era giustificato da un punto di vista economico. Analizzando a mente fredda la manovra, abbiamo seri dubbi sull’effettiva efficacia di questa manovra. Non è infatti certo che una svalutazione della divisa porti automaticamente a una ripresa della crescita economica attraverso una ripresa forte delle esportazioni.

A tal proposito, ricordiamo che le esportazioni nette cinesi valgono solamente il 2.7% del PIL (tale valore è solo apparentemente basso perché la Cina è al tempo stesso il più grande esportatore ed importatore al mondo, ndr), mentre i consumi interni valgono oltre il 38% del PIL cinese(gli investimenti valgono invece il 47% e costituiscono la prima voce del PIL cinese, ndr).Inoltre, ragionando sulle esperienze passate di altre economie di area asiatica, abbiamo riscontrato più volte che la debolezza della divisa non garantisce esportazioni più alte.

Infatti, sebbene le divise asiatiche siano deboli rispetto alle medie storiche contro il Dollaro USA, ciò non ha determinato un impulso alle esportazioni per quelle economie, poiché il rallentamento delle prospettive economiche in Asia è stato determinato da altre ragioni, e cioè perdita di competitività, calo della domanda mondiale e contrazione del commercio mondiale.

Pertanto riteniamo probabili ulteriori misure di stimolo, compresi un paio di tagli dei tassi delle riserve obbligatorie (RRR), un taglio dei tassi di interesse, una ulteriore manovra di svalutazione della divisa (pur se limitata, come detto) e misure fiscali più mirate alla crescita degli investimenti in infrastrutture. Al tempo stesso, la crescita dovrebbe rimanere modesta a causa di trend strutturali di lungo termine: sovraccapacità produttiva e deflazione continueranno a costituire un’ombra per l’economia cinese.

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