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Carbone, futuro più nero del previsto

Giorni contati per il carbone? Sarebbe un’esagerazione in perfetta malafede. Tuttavia,  lo scenario mondiale della domanda del carbone è cambiato drasticamente da quando meno di un anno fa, l’Agenzia Internazionale per l’Energia, Iea, lanciava l’allarme del prossimo sorpasso del carbone sul petrolio, fonte imperante nel mix energetico mondiale. Entro il 2017 era previsto l’allineamento mentre i 5 anni successivi erano dedicati a consolidare il primato. Invece, gli ultimi mesi hanno delineato una ridefinizione della dinamica della domanda del carbone. Il consumo in Europa è stabile, le locomotive economiche dei BRICS e Next 11 stanno rallentando la corsa ma è soprattutto la Cina a sbilanciare tutto. Solo il suo consumo interno equivale a quello di tutto il resto del mondo e la sua fame energetica ha spinto a tal punto la domanda di carbone da farle registrare nel giro di un decennio un incremento del 50%. Le misure per contrastare il cambiamento climatico, imposte da Pechino lo scorso luglio, di tagliare del 40-50% l’impiego di carbone nella generazione elettrica entro il 2020 nonché il pacchetto anti-inquinamento del mese scorso tra cui il veto di costruire nuove centrali a carbone nell’area della capitale, Shanghai e Guangzhou portano un colpo ai volumi delle importazioni di carbone della Cina.  E si riflette sui flussi mondiali degli scambi del combustibile fossile. “Il mondo è diventato dipendente dall’insaziabile domanda cinese” afferma Paolo Coghe, analista energetico alla Societé Générale. E non esclude che entro il 2015 la Cina possa cessare di essere un importatore netto di carbone con ripercussioni pesanti sulla stabilità dei prezzi. Se poi si aggiunge che il governo statunitense ha annunciato l’intenzione di chiudere i finanziamenti ai progetti esteri di impianti a carbone, in linea con l’orientamento della Banca Mondiale e quello della Banca d’Investimenti Europea, i segnali di declino ci sono tutti. “Il peak del carbone potrebbe accadere adesso; ne avremo la conferma l’anno prossimo ma gli effetti si vedranno tra 3-5 anni” conclude Coghe. Soprattutto dopo che la produzione di carbone dell’Australia e Indonesia non verrà più inghiottita completamente dalla Cina, e la tensione sulla domanda si allenta.  La tendenza ribassista si coglie nei prezzi spot scivolati da 120$ la tonnellata del 2012 a meno di 80$  di quest’estate. Un livello di prezzo  non sufficientemente competitivo per coprire il costo di infrastrutture per cospicui flussi di esportazione. Tanto più che i progetti di costruzione di terminali sulle coste dell’Oregon, Washington State e Golfo del Messico  sono rimasti in sospeso.

All’inizio del 2012  l’industria  carbonifera statunitense prevedeva esportare 168 milioni di tonnellate. Ma le sue speranze sono state disattese. Quest’anno si prevede un calo del 5% sulle esportazioni rispetto ai 113 milioni di tonnellate del 2012. Dal mercato interno lascia poco sperare dopo l’ultima sterzata verde di Obama che riduce ulteriormente del 40% le emissioni delle centrali elettriche a carbone (1.100 libbre di CO2 per MWh). I limiti indicati dall’Environmental Protection Agency EPA, anche se leggermente meno impegnativi di quelli inizialmente proposti nel 2012, sono comunque dei vincoli proibitivi per gli impianti esistenti (sforano anche quelli di nuova generazione ultra super critici) e richiedono il ricorso a tecnologie avanzate molto care che spingono fuori mercato questa fonte energetica.

L’anno in corso sarà uno spartiacque per i mercati globali del carbone, si legge in un rapporto di Goldman Sachs che conclude “Si sta chiudendo la fase positiva per gli investimenti in carbone”.

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Categories: Economia e Imprese
Tags: Carbone