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Cala il risparmio delle famiglie italiane: pesa la contrazione dei redditi per la crisi

Cercate su Google la coppia risparmio e rischio. Troverete 16 milioni di risultati. Al contrario la coppia risparmio e rendimento ne totalizza solo 2,5 milioni: negli ultimi anni il vissuto del risparmiatore è sempre più legato a un’esperienza di pericolo. La crisi che stiamo vivendo ha travolto e stravolto le certezze del passato ed eliminato il concetto di investimenti senza rischio. I titoli di Stato che prima erano percepiti come un porto sicuro per i risparmi sono dopo la crisi diventati la mina su cui il sistema ha rischiato di saltare. Così il risparmio è diventata materia sempre più complessa per le famiglie italiane strette tra la compressione dei redditi generata dalla crisi e la paura di prendere abbagli (o “fregature”). Il risultato è che il risparmio nazionale non solo è in lento declino a causa della lenta crescita del Paese e della riduzione dei redditi, ma che la ripresa dei livelli di ricchezza dopo la crisi risulta più difficile che in altri Paesi. A evidenziarlo è il Primo rapporto dell’Osservatorio del risparmio di Unicredit Pioneer Investments, presentato ieri a Milano, e rilancia la necessità di investire sull’educazione finanziaria dei giovani già sui banchi di scuola.

L’EROSIONE DEI REDDITI PESA SUL RISPARMIO

ONADO: LA TRASFORMAZIONE È RADICALE, SERVONO MISURE DI INCENTIVO

“Dal 1995 ad oggi il risparmio nazionale ha subito un continuo ed inesorabile declino: nel giro di quasi vent’anni il tasso di risparmio lordo delle famiglie (in % al reddito disponibile ndr) è passato dal 21,9% nel 1995 a un minimo del 12% nel 2011 e le previsioni per il 2012 non sembrano indicare un’inversione di tendenza”, si legge nel rapporto. Certo, non possiamo ancora definirci cicale, anche guardando il confronto con gli altri Paesi europei: pur essendosi ridotto nel tempo il saggio lordo delle famiglie italiane (al 12%, risparmio lordo delle famiglie in % al reddito lordo disponibile) risulta infatti ancora in media con le principali economie sviluppate, leggermente sotto Germania (16,7%), Francia e Austria, sopra a Spagna, Usa e Gran Bretagna (il più basso al 7,7%). Tanto più che dalle informazioni raccolte dal rapporto, non sembra che gli italiani abbiano deciso che non valga più la pena risparmiare. Anzi: negli ultimi anni è persino cresciuta la quota di persone che ritiene sia opportuno accantonare risorse per il futuro. Il problema è che è sempre più difficile generare nuovo risparmio. Le famiglie italiane risparmiano sempre meno soprattutto perché stanno vivendo una graduale erosione dei redditi, non per una loro specifica e volontaria scelta. La discesa più accentuata del risparmio non a caso si è registrata dal 2007, anno dello scoppio della crisi economica che ha pesato soprattutto sui redditi da lavoro dipendente e da capitale. “Negli ultimi cinque anni – spiega il rapporto -la riduzione sensibile del reddito disponibile sembra derivare principalmente da una compressione dei redditi da capitale e da lavoro dipendente, con un livello di imposizione fiscale che non ha certo aiutato. Questi fattori, uniti a famiglie restie a modificare il proprio stile di vita o comunque caratterizzate da una quota elevata di spese di consumo incomprimibili spiegano il calo del risparmio”. Il che significa che il risparmio cala perché siamo stati soggetti a un sostanziale impoverimento. Certo la ricchezza accumulata ci pone ancora in una posizione di forza: al netto delle passività finanziarie siamo a 8,5 miliardi di euro, circa 140mila euro procapite, oltre 7,8 volte il reddito lordo disponibile e 5,4 volte il pil. Ma il trend è ormai invertito.

“Il messaggio principale del rapporto – spiega Marco Onado, professore di Economia degli intermediari finanziari in Bocconi intervenuto nella tavola rotonda per la presentazione del rapporto – è quello della trasformazione che la crisi ha determinato”. Lo stock di risparmio è ancora alto perché dipende dal passato ma dal 2007 in soli tre anni c’è stata una riduzione del 4% del risparmio (risparmio nazionale lordo in % al reddito nazionale lordo disponibile), mentre tra il 2005 e il 2007 si è assistito solo a una lieve contrazione. L’Italia è l’unica caratterizzata da un calo così marcato. “Si tratta di una trasformazione radicale del panorama. Dal ’95 a oggi la contrapposizione tra la famiglia che risparmiava e quella che intaccava la ricchezza si è ribaltata: il saldo netto tra la prima e la seconda era di 12,5 punti, oggi è negativo per 11,1. Ci stiamo mettendo su una china vicina a Usa e Gran Bretagna. Certo, siamo sempre formiche ma il Paese forse si è cullato troppo nella posizione di forza del risparmio nazionale, unico Paese occidentale che non ha mai preso misure di incentivazione al risparmio ed ora è il momento di prendere misure di questo tipo”.

LE FAMIGLIE SONO SOLIDE, MA CRUCIALE ORA è IL MIX IN PORTAFOGLIO
SINISCALCO: ORA LA SFIDA È USARE MEGLIO IL RISPARMIO CHE C’È

Se i dati 2011 sulla ricchezza delle famiglie fotografano un paese ancora tra i più ricchi delle economie occidentali, con la ricchezza che non ha subito forti fluttuazioni, e meno indebitamento degli altri Paesi, gli italiani si stanno impoverendo ed emergono diverse criticità, soprattutto nella capacità di allocare i risparmi in ottica di lungo termine nel campo degli investimenti finanziari. “Il problema sembra emergere soprattutto negli anni più recenti – si legge nel rapporto – che hanno visto le attività finanziarie delle famiglie perdere valore, tanto che le stime a fine 2012 risultano essere inferiori (in termini reali) alle attività del 1999, siamo tornati indietro di ben 13 anni!”. Certo, la finanza è stata travolta dallo tsunami della crisi e neanche le famiglie degli altri paesi hanno superato le turbolenze indenni, anzi l’impatto del crollo dei mercati è stato notevole. “Tuttavia – rileva il Rapporto – già dal 2009 la loro ricchezza ha cominciato a crescere e in molti casi, come Francia, Germania e Regno Unito, con il 2011 si erano già superati i livelli pre crisi. Le famiglie italiane, invece, tra le meno colpite dalla perdita di valore degli asset nel 2008, hanno però dopo quella data visto il loro patrimonio finanziario perdere progressivamente di valore nel tempo e la recente crisi del debito in Europa non ha certo aiutato”.  Per il Rapporto il differente asset mix sembra il responsabile per questo diverso andamento.

I portafogli italiani hanno in media un elevato stock di obbligazioni (il 20%), rileva il rapporto,  di cui circa la metà relative a titoli governativi con una scarsa emissione per emittente. A questo si aggiunge un elevato stock di ricchezza investito direttamente in azioni, il 20% delle attività finanziarie, di cui tuttavia solo l’8,4% è relativo alle azioni quotate, il resto rappresenta per lo più le partecipazioni in società non quotate, aspetto legato alla forte presenza delle pmi. Il risparmio gestito pesava nel 2011 per il 20% del totale delle attività delle famiglie (il 40% in Germania, Francia e Stati Uniti). Così come sottopesata rispetto agli altri Paesi appare la quota relativa ai fondi pensione. Per Unicredit, in questo quadro, “preoccupazione desta soprattutto la scarsa diversificazione e il peso molto basso dei fondi pensione”.

“Il risparmio come stock va molto bene rispetto a quello che potrebbe andare e ha tenuto –  ha commentato durante il dibattito Domenico Siniscalco, presidente di Assogestioni –  La sfida è che bisogna aiutare gli italiani non tanto a risparmiare di più perché è anche vero che ci sono momenti in cui è necessario consumare di più. La sfida è quella di risparmiare meglio. Sono colpito da come il paese pensi poco al risparmio di lungo periodo, lasciando spesso i risparmi che deteniamo per una vita sotto il cappello dei risparmi a breve.”

D’altra parte, rileva Siniscalco, oggi i policy makers sono ottimisti sulla stabilità raggiunta, due mesi fa la barca imbarcava acqua, dopo il programma Omt di Draghi si è riusciti a calmare i mercati e una serie di grandi investitori stanno riportando i soldi in Europa, compresi sui nostri Btp. “Se fossi un gestore – dice Siniscalco – sarei più preoccupato ad avere bund che non rende. Ora in Europa c’è una spinta a guardare alla crescita importante, quindi ora la sfida è aiutare le economie a usare meglio il risparmio che c’è. Credo che in Italia manchino i canali tra risparmio e investitori per usare meglio il risparmio. Si parla tanto di quotazione delle pmi quando però le imprese non hanno voglia di quotarsi. Perché tutta questa attenzione a questo tema? È meglio creare un mercato dei bond che consenta alle pmi di emettere titoli quotati. Inoltre è necessario affiancare a un’Europa del credito un’Europa del risparmio, il che significa aiutare l’afflusso del reddito verso gli investimenti”.

I GIOVANI I GRANDI ESCLUSI

Nel confronto generazionale sul risparmio il rapporto infine rileva una sempre più marcata polarizzazione della ricchezza nelle mani degli ultra 55enni, che a fine 2011 detenevano il 70% della stessa, mentre i clienti con meno di 34 anni possedevano poco meno del 4% del totale degli asset finanziari. Una sproporzione che trova conferma anche nei dati di Banca d’Italia (relazione annuale 2012): i nuclei familiari con un capofamiglia di età superiore a 55 anni detenevano nel 2010 più del 60% del totale delle attività finanziarie mentre quelli di età inferiore a 35 anni meno del 4%. Se una disparità a seconda dell’età è plausibile, quello che colpisce è la forte sproporzione e il peggioramento degli ultimi anni. Sempre secondo la Banca d’Italia nel 1991, poco più di dieci anni fa, i nuclei con capofamiglia con meno di 35 anni risultavano detenere oltre 10 punti percentuali in più a quanto osservato nel 2010.

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