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BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – Mercati in recupero dopo le sbandate d’estate

Non è raro che gli umani tendano alla megalomania e all’egocentrismo. La filosofia ufficiale dell’antichità e del medio evo metteva la Terra al centro del cosmo e l’uomo al centro della creazione. Anche il divino tendeva ad essere antropomorfizzato. Chi la pensava diversamente (dal Democrito di cui Platone avrebbe volentieri bruciato i libri al Copernico che dispose di pubblicare postume le sue teorie) poteva rimanere in vita solo se manteneva le sue idee in una cerchia ristretta di scienziati e se non usciva in campo aperto. L’Europa, prima e dopo Cristoforo Colombo, si considerava il centro del mondo e quindi dell’universo. Zhonghua, impero di mezzo, è ancora oggi il nome della Cina, che ufficialmente si definisce Repubblica Popolare dell’Impero di Mezzo.

Non c’è quindi da stupirsi se gli umani che interagiscono sui mercati finanziari sopravvalutano le loro capacità intellettuali e la loro centralità. Se si esclude la finanza comportamentale, che è umile perché è l’unica che parte dall’analisi empirica non di quello che si pensa o di quello che si dice, bensì di quello che si fa davvero, le teorie dominanti a livello accademico o nella falsa coscienza degli operatori attribuiscono al mercato superpoteri da eroe della Marvel Comics.

Nella versione più grandiosa i mercati ritengono di essere dotati dell’ultravista di Superman e di potere vedere il futuro prima che questo accada. Scendendo di un livello troviamo invece la pretesa che i mercati possano leggere perfettamente il presente e agiscano come un sismografo onnisciente di tutto ciò che esiste. È la corrispondenza aristotelica di pensiero ed essere che attraversa i secoli e si ripresenta ad esempio, in forma leggermente attenuata, nella teoria del rispecchiamento del materialismo dialettico di Engels (il pensiero rispecchia l’essere, ma in modo incompleto) e che ritorna invece al suo pieno fulgore nella teoria del mercato efficiente, discounting machine perfetta che riflette in tempo reale il flusso di notizie e adegua immediatamente il prezzo di tutte le cose, visibili e invisibili.

Un posto a parte merita la teoria della riflessività di Soros, in base alla quale i mercati sono influenzati dal mondo ma a loro volta retroagiscono influenzandolo. È una teoria più interessante e sofisticata di quella del mercato efficiente (Soros studiò filosofia con Popper prima di darsi alla finanza per necessità economica) e ha in aggiunta il merito di tenere ampiamente conto del posizionamento più o meno squilibrato del mercato nello spiegarne gli spostamenti. Resta tuttavia l’impressione nonostante la finanziarizzazione degli ultimi decenni, che l’importanza attribuita ai mercati nella loro retroazione sul mondo sia comunque esagerata.

Ora che i mercati sono di nuovo calmi e in apparente equilibrio si può vedere con chiarezza come la grande paura di agosto e settembre sia spiegabile almeno in parte con la finanza comportamentale e con la teoria del posizionamento che Soros fa sua, mentre escono in pezzi, ancora una volta, le razionalizzazioni che abbiamo sentito durante l’estate basate, più o meno consapevolmente, sull’ipotesi che i mercati non abbiano fatto altro che reagire alle notizie che sopraggiungevano.

Con l’abbassarsi del polverone possiamo vedere una borsa cinese stabilizzata e in rialzo del 4 per cento rispetto all’inizio dell’anno. Vediamo anche che il renminbi ha perduto poco più del 2 per cento sul dollaro. Perché allora i mercati globali hanno reagito come si reagirebbe di fronte a una situazione fuori controllo (e non, semplicemente, gestita male) e come se la svalutazione fosse stata del 20 per cento e avesse segnato l’inizio di una guerra valutaria? Perché non hanno considerato, tra le altre cose, che il surplus cinese delle partite correnti sta crescendo da mesi grazie al minore costo delle materie prime importate?

La risposta sta nel posizionamento del mercato, arrivato in agosto lanciato come un treno sovrappesato di rischio. E si può d’altra parte chiamare efficiente un mercato che ha segnato i massimi storici azionari durante un trimestre, il primo, di crescita americana vicina a zero e di utili in discesa rispetto all’anno precedente?

Anche la ripresa di ottobre, del resto, è stata dovuta non a un miglioramento dei fondamentali, che sono oggi gli stessi di agosto tanto in Cina quanto nel resto del mondo, ma al posizionamento diventato, nell’isteria tardoestiva, profondamente sbilanciato in senso negativo. Sul petrolio la cosa è stata particolarmente evidente. Il recupero da 42 dollari a 50 sul Wti è stato dovuto esclusivamente a flussi finanziari (ricoperture di corti e incaute aperture di posizioni rialziste) mentre nulla, assolutamente nulla, è cambiato in termini di domanda e di offerta fisica (al modesto taglio della produzione americana ha infatti corrisposto l’aumento del resto del mondo), al punto che negli ultimi giorni il prezzo si è rapidamente riavvicinato al punto di partenza.

In pratica possiamo dire che in agosto e settembre i mercati se la sono suonata e cantata da soli, costruendosi dapprima un crollo cinese e una recessione globale (con annesso un incongruente rialzo dei tassi americani) che non ci sono stati e poi una riaccelerazione globale (con altrettanto incongruente rinvio sine die del rialzo dei tassi americani) di cui francamente non si è vista traccia. Lungi dal rispecchiare la mediocre realtà, i mercati se ne sono inventata una terribile in agosto e poi una in rosa in ottobre. Le stesse esagitate reazioni si sono avute a livello settoriale sull’auto europea nelle settimane passate (effetto Lehman, fine dell’auto) e si stanno verificando in questi giorni sul farmaceutico americano (fine del modello di business, fine dell’innovazione e della profittabilità).

A questo punto, dopo avere sbandato in una direzione e poi nell’altra e dopo avere costretto a chiudere prima le posizioni al rialzo e poi quelle al ribasso, il mercato appare ripulito e abbastanza in equilibrio. È anche possibile che nelle prossime settimane si provi a salire ancora un po’, grazie anche al rinnovato slancio espansivo della Bce. Sembra di rivivere, nella comunicazione da Francoforte, i lunghi mesi che portarono al Quantitative easing. Promesse fatte a mezza bocca, ritracciamenti tattici, trovate retoriche, fughe di notizie su importi modesti e poi, per il gran finale, ricchi premi per tutti. Questa volta la replica è in tono minore, perché i mercati hanno fresco il ricordo delle eccessive illusioni che infiammarono le borse europee in primavera e non vogliono rivivere le delusioni estive. Il livello delle nostre borse, dopo le correzioni per la Grecia, per la Cina e per la Volkswagen, è però sufficientemente sacrificato (in termini relativi rispetto all’America) da lasciare spazio a una continuazione della fase di recupero.

Nessuno parla più di rialzo dei tassi americani, ma in dicembre, se mercati ed economia continueranno a mandare segnali, rispettivamente, di forza e di stabilità, qualcuno si sveglierà e ricomincerà a parlarne. Per il momento lasciamo ancora correre il recupero, alleggeriamo qua e là e senza fretta le posizioni più esposte e rimaniamo sovrappesati di borse europee e di dollari, in attesa di livelli migliori sui quali alleggerire seriamente. 

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