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BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – In Borsa improbabili grandi scostamenti: meglio stare fermi

Inside Out della Disney è un corso introduttivo alle neuroscienze e alla filosofia della mente travestito da cartone animato per bambini. Vi si leggono in trasparenza La Società della Mente di Marvin Minsky e le opere complete di Antánio Damásio. Se per Cartesio le passioni primitive dell’anima (meraviglia, amore, odio, desiderio, gioia, tristezza) coinvolgono il corpo solo nella fase iniziale e vengono poi elaborate e controllate da una mente unitaria, nel neuroscienziato Damásio, che in questo si ispira a Spinoza, il dualismo tra mente e corpo viene abolito. Le emozioni, percepite ed elaborate dal corpo prima ancora di emergere a livello cosciente, diventano centrali e scalzano il primato che intelletto e ragione avevano mantenuto per secoli nella filosofia. Se per Minsky esiste comunque un metaprogramma che funge da ufficio di coordinamento delle emozioni e dà ragione ora a questa ora a quella (dandoci anche l’illusione di avere un io che decide qualcosa) in Inside Out le cinque emozioni (Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto, Paura) governano direttamente l’undicenne Riley. Sedute alla consolle, prendono i comandi alternativamente e senza un piano preciso. In certi momenti le emozioni discutono tra loro, in altri una di loro si impone di prepotenza. Non esiste un io unitario e l’identità è affidata a grumi di ricordi (le Isole della Personalità). Le emozioni di Inside Out sono evidentemente programmi che svolgono funzioni precise formatesi nel corso della filogenesi. Gioia garantisce la felicità, Rabbia difende dall’ingiustizia, Disgusto e Paura inducono a evitare pericoli. Curiosa e interessante la funzione di Tristezza, su cui torneremo, ovvero fare in modo che gli altri si accorgano dei nostri problemi e ci vengano in soccorso.

I mercati, da metà agosto, appaiono governati dalle emozioni allo stato puro. È quello che accade quando l’amigdala (la mandorlina che nel cervello raccoglie gli stimoli dei sensi, li confronta con i ricordi piacevoli o dolorosi e attiva le reazioni emotive) viene sovrastimolata e irritata, generando di conseguenza panico, aggressività, timore di disastri imminenti senza causa apparente. Il contrario avviene quando l’amigdala viene distrutta per un trauma o asportata chirurgicamente e gli stimoli vengono ignorati, creando uno stato di docile calma. Lo stato, per intenderci, in cui i mercati mondiali si sono trovati dall’inizio dell’anno fino a metà agosto (con la sola eccezione dell’Europa finalmente approdata al Quantitative easing). Visto a distanza, quello di agosto appare sempre più come un attacco di panico sulla Cina, così come panico è la parola giusta per definire quello che è successo su alcuni titoli legati alle materie prime, sull’auto europea e sulla biotecnologia americana. Alla paura si sono mescolate in molti casi la rabbia e il disgusto. Rabbia per la Cina, da sempre considerata molto abile nella gestione della sua economia e improvvisamente apparsa come pasticciona e dilettantesca su cambio e borsa. Rabbia per l’auto europea, in primavera considerata il migliore settore per cavalcare la nuova competitività dell’Eurozona. Disgusto di sé per essersi riempiti tutti di biotech ed essere caduti ancora una volta nell’ennesima trappola di una bolla. Paura, rabbia e disgusto hanno caratterizzato anche il recupero successivo. C’è stata la paura degli short, che hanno dovuto rincorrere dolorosamente il rimbalzo dopo avere esagerato con le vendite (sempre dettate da paura). C’è stata la rabbia per avere dato troppo peso ai seminatori di paura (quelli che David Zervos chiama gli Odiatori) e alleggerito quando sembrava che il ciclo globale positivo stesse andando in rovina. C’è stata invece poca gioia e solo di sollievo, perché pochi hanno approfittato dei prezzi bassi per allargare le loro posizioni. Quanto alla tristezza, ne è stata piena la seconda fase del ribasso, quella successiva allo shock iniziale. Una tristezza implorante, rivolta alle banche centrali così come quella della giovane Riley è rivolta ai genitori e alla classe per chiedere aiuto e comprensione.

È poi mancata del tutto, ci sembra, una passione fondamentale di cui si sono dimenticati anche gli sceneggiatori di Inside Out. Parliamo di quello che Cartesio chiamava desiderio, i filosofi antichi e medievali concupiscenza, Freud pulsioni orali e che la finanza comportamentale definisce avidità, la sorella gemella della paura. Nessuna voce si è levata sui minimi per dire di comprare, come invece era successo gli anni scorsi e ha comprato solo chi aveva venduto in precedenza, mentre quasi nessuno ha allargato le sue posizioni. Lo leggiamo come un segno positivo, perché significa che la paura è stata vera e profonda. Un vero stress test, non un gioco. L’avidità è del resto mancata in tutto il rialzo successivo al 2008-2009, durante il quale il compratore finale, il pubblico, non si è mai fatto prendere dall’entusiasmo e ha regolarmente approfittato dei momenti positivi per vendere azioni e riscattare quote di fondi. Gli unici a essere avidi, in questa fase storica, sono i manager delle società che si indebitano aggressivamente per comprare azioni proprie. Per il momento, per fortuna, la maggior parte dei buy back è comunque effettuata da società che se li possono permettere. È presto per dire che la fase dominata dalle emozioni è terminata. Nelle prossime due-tre settimane verremo sommersi dai dati sugli utili del terzo trimestre. Se saranno deludenti le borse torneranno a indebolirsi (senza però riavvicinarsi troppo ai minimi di agosto) per risalire comunque in vista di fine anno. Se gli utili saranno invece sorprendentemente positivi le borse saliranno di poco, per poi ridiscendere in vista di fine anno per accomodare il rialzo dei tassi americani, a quel punto inevitabile.

In un modo o nell’altro il 2015 andrà incontro al suo destino di anno piatto in America e solo moderatamente positivo in Europa e in Giappone. Un destino che stava scritto fin dall’inizio, dal momento che il 30 per cento di rialzo del 2014 si era appropriato di ogni possibile espansione dei multipli e considerando che gli utili di quest’anno, in America, saranno uguali a quelli dell’anno scorso. Se il 2015 si concluderà invariato vorrà anche dire che sopra le pulsioni e le convulsioni dei mercati c’è ancora in funzione il metaprogramma delle banche centrali, che indirizzano tassi e borse secondo finalità macro. Oggi, come già in maggio ebbe a dire la Yellen, ulteriori rialzi sono inutili e potenzialmente pericolosi. Il mondo è però abbastanza fragile da fare considerare inopportuni anche ribassi gratuiti, non motivati dai fondamentali. E quindi, visto che America, Europa e Cina chiuderanno l’anno con scostamenti tutto sommato modesti rispetto alle previsioni iniziali, meglio stare tutti fermi.

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