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Banche e regole europee, cambiamole così: le proposte del CER

Nel suo studio su “Le Asimmetrie nella nuova regolamentazione bancaria europea: analisi e proposte”  il centro di ricerche economiche CER ha evidenziato come l’attuale impianto regolamentare dell’industria bancaria europea sia viziato da diversi problemi. In particolare, sono state riscontrate diverse asimmetrie nell’implementazione delle regole bancarie, che riguardano sia l’European Banking Union sia l’adozione degli Accordi internazionali di Basilea.

In questo quadro appare molto improbabile che nel medio-lungo termine l’Europa si riesca effettivamente a dotare di un mercato bancario unico che persegua due principi generali: i) l’eliminazione della segmentazione presente tra i diversi mercati; ii) la riduzione dei rischi sull’instabilità finanziaria. Come ha evidenziato Dirk Schoenmaker, dopo aver superato la fase più critica della crisi finanziari, “governments have started to shop selectively on the Banking Union list”. Ridurre la segmentazione finanziaria avrebbe per contro importanti effetti anche sulle prospettive di crescita dell’intera Unione Europea.

Per raggiungere questi due fondamentali obiettivi si rendono necessari, secondo il CER, diversi altri interventi, che vengono elencati qui di seguito. Ecco dunque le proposte del CER per cambiare la regolamentazione finanziaria europea.

REVISIONE DELLA VIGILANZA ACCENTRATA

L’approccio dimensionale adottato nell’ambito del Single Supervisory Mechanism per individuare le banche sottoposte alla vigilanza della BCE andrebbe rivisitato.

Dovrebbe essere evitato che nei sistemi più frammentati una quota rilevante del mercato non sia sottoposta alla vigilanza della BCE, rimanendo invece soggetta alla vigilanza domestica con i relativi problemi di adozione di modalità di supervisione non omogenei.

Per raggiungere tali obiettivo andrebbe fissata una quota minima del mercato bancario domestico che deve essere soggetta alla vigilanza accentrata della BCE. In tal modo il numero di banche vigilate direttamente aumenterebbe per i sistemi bancari frammentati fino a raggiungere la soglia minima.

POTENZIAMENTO DEL SINGLE RESOLUTION FUND

Come evidenziato nel paragrafo 1.2, il Single Resolution Fund necessita di maggiori risorse finanziarie se effettivamente deve fungere da baluardo contro il verificarsi di crisi bancarie sistemiche.

De Groen e Gros stimano che una dimensione ottimale del Fondo dovrebbe essere compresa tra i 58 e 101 miliardi di euro, tenendo conto sia della partecipazione alle perdite da parte di azionisti e altri creditori che del limite massimo di intervento del Fondo del 5% del totale delle passività.

Guardando alle esperienze passate, e in particolare alla crisi delle S&L, una dotazione congrua dovrebbe essere fissata su un valore 20 volte più elevato rispetto alla consistenza che il Fondo raggiungerà nel 2024. In altri termini occorrerebbe più di un trilione di euro per aver risorse tali per poter arrestare sul nascere eventuali crisi bancarie sistemiche.

Un modo per incrementare la dotazione del Fondo potrebbe essere quello di imporre delle forme di contribuzione anche agli intermediari non bancari. Ad esempio, fondi d’investimento e grandi emittenti non bancari di titoli finanziari potrebbe essere chiamati a contribuire annualmente al Fondo in funzione di una qualche misura del loro grado di rischio.

Accanto al potenziamento delle risorse private a disposizione del Fondo andrebbe prevista anche la possibilità di aprire una linea di credito illimitata con la BCE, di concerto con il Sistema europeo di banche centrali. In situazioni in cui il rischio sistemico potrebbe rilevarsi molto elevato, tanto da mettere in gioco la sopravvivenza dell’intero impianto finanziario europeo e internazionale, ci sarebbe infatti bisogno di un prestatore di ultima istanza. Solo un’istituzione con una “potenza di fuoco” potenzialmente illimitata, come appunto la BCE, potrebbe svolgere efficacemente il ruolo in Europa di financial backstop.

GESTIONE DELLA PRESENZA DELLO STATO NEL CAPITALE BANCARIO

La presenza di capitale pubblico in molte banche europee costituisce una distorsione del mercato. Da un lato, infatti, diversi studi hanno posto in evidenza come banche a controllo pubblico sia più inefficienti e determino maggiori rischi sulla stabilità finanziaria rispetto alle banche private. Dall’altro, l’imperfetta implementazione della European Banking Union, con un carico di rischi finanziari mal ripartito tra i paesi aderenti, determina delle asimmetrie di trattamento tra i sistemi che hanno attuato forti aiuti di Stato prima della Banking Communication e quelli che invece per opportunità politica, stante anche le condizioni di finanza pubblica, non hanno attuato gli stessi interventi.

Nei primi, infatti, il Governo può intervenire in aiuto delle banche in difficoltà, già precedentemente aiutate, senza far scattare sanzioni e soprattutto senza dover avviare preventivamente il bail-in. Nei secondi, invece, gli spazi di manovra per aiutare una o più banche che si trovassero in serie difficoltà sono molto più contenuti.

Per ovviare a questo diverso trattamento la Commissione Europea dovrebbe porre un target di medio termine sulla percentuale tollerabile di partecipazione nel capitale delle banche da parte del settore pubblico. Sistemi che hanno livelli di partecipazione superiori al target dovrebbero progressivamente ridurre la loro quota. Viceversa, nei sistemi che sono al di sotto del target dovrebbe essere concessa più flessibilità nell’intervenire nel mercato bancario senza far scattare sanzioni per la violazione degli aiuti di Stato ne tanto meno attivare le clausole del bail-in.

IMPLEMENTAZIONE DELLO SCHEMA UNICO DI GARANZIA SUI DEPOSITI

L’assenza del terzo pilastro della Banking Union è un fattore che destabilizza l’intero impianto di regole europee. L’aver avviato l’Unione Bancaria prima di aver definito compiutamente tutti i suoi tasselli è forse l’errore più grave compiuto dal legislatore europeo.

Senza il terzo pilastro, con un Fondo unico di risoluzione dotato di scarse risorse e in assenza di un financial backstop, sono molto alti i rischi che il dissesto di un operatore di grandi dimensioni possa determinare l’avvitarsi della crisi che potrebbe sfociare anche in una corsa agli sportelli. Come evidenziato da Peter Praet “A European Deposit Insurance Scheme would enhance overall depositor confidence […]. This is the very foundation of insurance: by pooling resources and risks across a larger and more diverse group, the overall shock-absorbing capacity of the system increases. In this sense, risk sharing turns into risk reduction”.

Ogni sistema bancario dovrebbe essere chiamato a pagare una fee per poter partecipare allo schema di garanzia unica sui depositi. Per evitare di caricare direttamente il peso sul sistema bancario potrebbe essere previsto un sistema di tassazione unico europeo sulle attività finanziarie, modulato in base al grado di rischiosità e opacità degli asset. Ogni paese dovrebbe contribuire in base al rischio sotteso dal proprio sistema bancario, i cui fondamentali parametri dovrebbero essere il livello della leva finanziaria (calcolata anche sullo shadow banking system) e il texas ratio, ovvero l’incidenza dei crediti non performanti rispetto al capitale e alle risorse accantonate per le perdite sui finanziamenti.

In linea con le esperienze statunitensi e giapponese, il Fondo di garanzia sui depositi dovrebbe essere unificato con quello di risoluzione. Il fondo unificato dovrebbe poi avere accesso a forme di finanziamento potenzialmente illimitate (backstop), come già evidenziato al precedente punto B.

Rispetto alla proposta di implementazione dell’EDIS avanzata dalla Commissione Europea andrebbe poi ridotto il periodo di transizione verso l’assicurazione completa.

GARANZIA DEI DEPOSITI PER LE BANCHE SOGGETTE A VIGILANZA DIRETTA

Viste le resistenze provenienti da alcuni Paesi, si potrebbe procedere per step nella costituzione di una garanzia unica dei depositanti. Un’ipotesi potrebbe essere quella di attivare un fondo di garanzia dei depositi limitato, in una prima fase, ai 130 gruppi bancari soggetti alla vigilanza diretta della BCE. In questo modo i maggiori operatori continentali avvierebbero un processo che con il tempo potrebbe gradualmente coinvolgere istituti di credito di minori dimensioni.

ADOZIONE DI UN CRITERIO GENERALE SUL LEVERAGE RATIO

I modelli interni di valutazione del rischio, utilizzati con le finalità di calcolare gli assorbimenti di capitale, hanno dimostrato nel tempo tutti i loro limiti. Le proposte di revisione discusse nell’ambito di Basilea IV vanno proprio nella direzione di ridimensionare il ruolo dei modelli interni, escludendone l’applicazione nel caso di esposizioni verso banche, altre istituzioni finanziarie e grandi aziende (cosiddette large corporates) e imponendo l’adozione di soglie minime dei parametri al fine di assicurare un livello minimo prudenziale per la restante parte degli asset.

Un nuovo approccio dovrebbe essere quello di spostare l’enfasi dai coefficienti di patrimonializzazione basati sugli attivi ponderati per il rischio a quelli più semplici legati agli attivi di bilancio e alle poste extra-bilancio. In altri termini, bisognerebbe dare più peso al leverage ratio, imponendo dei livelli minimi ben più alti rispetto al 3% imposto da Basilea III. Un livello congruo potrebbe essere quello del 6%.

Inoltre, dei vincoli sulla leva finanziaria andrebbero applicati anche agli operatori extra-bancari per evitare l’eccessiva crescita dello shadow banking system.

In tale ottica appare fuori luogo l’enfasi con cui la stampa e l’industria bancaria italiana hanno celebrato la decisione di rinviare a data da definirsi la discussione su Basilea IV, grazie soprattutto alla pressione esercitata dai paesi dell’Europa del Nord. Come discusso in precedenza, i modelli interni di valutazione del rischio sono applicati principalmente dalle banche grandi europee, quelle che operano soprattutto nei paesi nordici. Limitare la possibilità di continuare ad utilizzare questi approcci, con grande risparmio in termini di assorbimento di capitale e, al contempo, con grave rischio per la stabilità finanziaria dell’Eurozona, era un’occasione che non andava persa, soprattutto nell’interesse delle banche di non grande dimensione.

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DIVERSIFICAZIONE DEI TITOLI DI STATO

Nel caso in cui si dovesse andare nella direzione proposta nel precedente punto, il dibattito circa l’introduzione di una ponderazione per il rischio anche sui titoli di Stato perderebbe di rilevanza.

Un problema che andrebbe comunque affrontato è quello relativo all’eccessiva concentrazione del portafoglio titoli governativi nell’emittente costituito dal paese di origine della banca.

Per raggiungere tale obiettivo andrebbero fissati dei vincoli in termini di diversificazione minima richiesta, da raggiungere in un lasso di tempo sufficientemente lungo per riassorbire i contraccolpi della crisi dei titoli sovrani dell’Area euro. A titolo di esempio, si potrebbe prevedere che il portafoglio titoli di Stato a tendere non possa essere costituito per oltre una certa soglia da un solo emittente.

CREAZIONE DI UNA BAD BANK EUROPEA

La pulizia dei bilanci bancari dai crediti problematici nell’Area euro è ancora lontana, soprattutto se paragonata a quella degli USA dove la crisi finanziaria ha avuto inizio.

La situazione diventa ancor più critica se si amplia il novero degli asset di valore incerto anche alle attività finanziarie, e in particolare ai derivati.

Stante le pressioni sulla redditività delle banche europee, soprattutto per effetto del bassissimo livello dei tassi d’interesse e le deludenti dinamiche della crescita, l’industria bancaria non ha, e presumibilmente non avrà, le forze necessarie per ripulire in autonomia i propri bilanci.

Sarebbe quindi opportuno creare una bad bank a livello europeo che possa velocemente ripulire i bilanci dagli asset tossici.

L’ESM, il cosiddetto fondo salva stati, potrebbe apportare una parte dei capitali necessari alla costituzione della bad bank. Un’altra parte potrebbe essere fornita dal settore privato. La bad bank potrebbe poi finanziarsi sul mercato attraverso l’emissione di obbligazioni, acquistate poi sul mercato secondario dalla BCE nell’ambito del quantitative easing.

BAD BANK NAZIONALI, MA CON COORDINAMENTO COMUNE

Un’alternativa alla bad bank europea potrebbe essere quella di imporre in ogni paese europeo, tra quelli che già non hanno proceduto in tal senso, la creazione di una bad bank sistemica che acquisti asset tossici domestici. Le bad bank nazionali dovrebbero però avere un coordinamento comune al fine di facilitare lo sviluppo di un mercato sufficientemente grande dei titoli cartolarizzati, non necessariamente soltanto in sofferenza. La Commissione Europea dovrebbe agevolare questo passo prevedendo deroghe alle norme sugli aiuti di Stato. Inoltre, la BCE potrebbe fornire uno stimolo finanziario alle bad bank nazionali ampliando il novero dei titoli sottoscritti nell’ambito del quantitative easing anche alle passività emesse da questi operatori.

Categories: Finanza e Mercati