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Riders, primo contratto “autonomo”: svolta o passo falso?

Il primo contratto nazionale dei riders stipulato da Assodelivery e dal sindacato autonomo Ugl sta scatenando furiose polemiche con le centrali confederali e confonde i confini tra lavoro autonomo e lavoro dipendente – Ma il caso dei tassisti autonomi dovrebbe far riflettere.

Riders, primo contratto “autonomo”: svolta o passo falso?

La sottoscrizione di un contratto collettivo nazionale di lavoro per la disciplina dell’attività di consegna di beni per conto altrui svolta da lavoratori autonomi, gli ormai noti riders, fra Assodelivery, l’associazione che rappresenta di fatto tutti gruppi operanti nel settore, e la confederazione nazionale Ugl costituisce un evento (peraltro già definito, pur con qualche approssimazione, “illegale” dalla ministra grillina del lavoro Nunzia Catalfo) destinato a suscitare polemiche accanite nel panorama delle relazioni sindacali.

Ma, cosa più concreta, potrebbe anche sollecitare l’occhiuta attenzione dei magistrati chiamati a decidere sulla richiesta di trasformazione di un contratto di lavoro definito autonomo in contratto di lavoro subordinato. L’accordo appena sottoscritto cerca di dare una risposta, seppur limitata, ad un segmento di quel comparto che le cui attività vengono svolte attraverso piattaforme che “intercettano” il lavoro svolto da prestatori d’opera la cui natura giuridica si può, a buon diritto ma non necessariamente, definire come lavoro autonomo.

In realtà i riders possono essere considerati una componente della gig economy, l’economia dei lavoretti che coinvolge un’area composita di soggetti che per necessità o per scelta, è il caso degli studenti, accettano di lavorare per poche ore o in sostanziale part-time sulla base delle consegne effettuate. In queste circostanze si capisce l’assurdità di avere abolito il voucher che era pur sempre un elemento di trasparenza e di tracciabilità di un lavoro svolto. Certo non è sempre così: una parte dei riders, allo stato non quantificabile, dichiara di guadagnare il necessario per vivere e di considerare soddisfacente la propria condizione e privilegia la scelta di essere considerati lavoratori autonomi, al pari dei tassisti che in una città come Milano sono, per oltre il 90%, imprenditori individuali.

D’altra parte, anche se non sono disponibili statistiche ufficiali, basta osservare nelle strade delle metropoli per capire che la presenza di riders immigrati è particolarmente consistente. Questo accentua la necessità, per evitare forme di sfruttamento, di disporre di regole certe per disciplinare i termini delle prestazioni, della retribuzione e di tutte le ulteriori tutele e dei diritti per i lavoratori. Cgil-Cisl e Uil sostengono, per ora senza fortuna, che ai riders si debba applicare o il contratto nazionale del trasporto-logistica o quello dei pubblici esercizi. E’ probabile che si aprirà un duro confronto tra coloro che sostengono la figura del rider lavoratore autonomo (come Assodelivery e Ugl) e chi, come le organizzazioni confederali Cgil, Cisl e Uil, ne rivendica la natura di lavoratore dipendente.

Più che di principio è una questione di opportunità, per la semplice ragione che le stesse confederazioni Cgil,Cisl e Uil organizzano anche i tassisti autonomi e alcune figure di lavoratori agricoli non dipendenti. Naturalmente, come convivono nella stessa organizzazione sindacale tassisti autonomi e tassisti soci di cooperative ( quindi dipendenti) ha piena cittadinanza anche un contratto di riders dipendenti che tuttavia allo stato rimane un obiettivo da conquistare: può essere utile il tavolo col ministero del lavoro ma è necessario l’accordo con le imprese.

D’altra parte Il testo del ’’Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro” per i riders sottoscritto tra Assodelivery e Ugl (tradotto diligentemente anche in lingua inglese) sembra però non tener troppo conto dei confini tra lavoro autonomo e lavoro dipendente e, per di più, fa esplicito riferimento non solo al contratto individuale di lavoro sottoscritto tra una piattaforma digitale (ovvero la singola azienda) e il rider “lavoratore autonomo”, ma si spinge fino ad ipotizzare un improbabile “contratto di lavoro autonomo a tempo indeterminato”. Ma se si guarda come fattispecie assimilabile ai tassisti lavoratori autonomi (iscritti alla Camera di Commercio) non si ritrova, come è logico, né un loro contratto collettivo nazionale né un contratto individuale di lavoro.

E’ ben vero che nel testo sottoscritto viene escluso l’assoggettamento del rider al potere gerarchico e disciplinare della Piattaforma (cioè l’Azienda) ma c’è da chiedersi se sia sufficiente questa affermazione in sede giudiziaria. Nella lettura del contratto sottoscritto da Assodelivery e Ugl l’esplicito riferimento alla figura autonoma del rider si affievolisce nel momento in cui viene a configurarsi un insieme di diritti e di doveri che normalmente definiscono un contratto di lavoro subordinato. Il rischio di cadere sotto una raffica di sentenze che riconoscono il carattere subordinato della prestazione di lavoro è alta.

D’altra parte l’attribuzione di lavoratore autonomo, con l’accettazione implicita di tutte le sue caratteristiche positive e negative è un sacrosanto diritto per i riders che lo rivendicano. Forse, sotto il profilo giuridico, un confronto interessante, oltre che con la figura del tassista autonomo potrebbe esser fatto con gli NCC, i noleggi con conducente. Se fosse impossibile adottare per i riders modelli contrattuali esistenti bisognerà pensare di costruirne di nuovi che sarebbe opportuno individuare attraverso una trattativa diretta fra le parti interessate. Nel frattempo l’iniziativa contrattuale va avanti e si annuncia un protocollo contro il caporalato a tutela dei riders che verrebbe sottoscritto con la Prefettura di Milano sia da Assodelivery che da uno schieramento sindacale molto ampio composto da Cgil, Cisl, Uil e Ugl.

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