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La cucina italiana candidata a Patrimonio Unesco: i turisti già spendono un terzo del budget del loro viaggio per cibo e acquisti

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Candidata a Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO, così come è avvenuto per la dieta mediterranea per l’arte del “pizzaiuolo” napoletano, la Cucina italiana con il suo patrimonio di “pratiche sociali, riti e gestualità basate sui tanti saperi locali” con il suo “mosaico di tradizioni che riflette la diversità bioculturale del paese” è stata da tempo promossa con il massimo dei voti dai turisti esteri che ogni anno si riversano nel nostro paese.  Sinonimo di eccellenza e genuinità per varietà e ricchezza di prodotti, è la voce principale del budget della vacanza in Italia con oltre un terzo della spesa destinato alla tavola per consumare pasti in ristoranti, pizzerie, trattorie o agriturismi, ma anche per cibo di strada o souvenir enogastronomici in mercati, feste e sagre di Paese.

Per la Coldiretti è un impatto economico valutato per la sola spesa alimentare in oltre 30 miliardi di euro nel 2023, divisi tra turisti italiani e stranieri che sempre più spesso scelgono il Belpaese come meta delle ferie per i primati a tavola. Un risultato che dimostra l’immenso valore storico e culturale del patrimonio enogastronomico nazionale che è diffuso su tutto il territorio e dalla cui valorizzazione dipendono molte delle opportunità di sviluppo economico ed occupazionale.

Cucina italiana leva di promozione del Made in Italy alimentare nel mondo: nel 2022 ha raggiunto il valore record di quasi 61 miliardi di euro,

Ma la cucina rappresenta anche una straordinaria leva di promozione del Made in Italy alimentare nel mondo dove nel 2022 raggiunge secondo le stime della Coldiretti. Il valore record di quasi 61 miliardi di euro,

Le ragioni sono molteplici: La cucina italiana può contare sull’agricoltura più green d’Europa di 5450 specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni censite dalle Regioni, 320 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg, la leadership nel biologico con circa 86mila aziende agricole biologiche, 25mila agriturismi che conservano da generazioni i segreti della cucina contadina, 10mila agricoltori in vendita diretta con Campagna Amica e le numerose iniziative di valorizzazione, dalle sagre alle strade del vino.

Un fenomeno unico al mondo che l’antropologo Marino Niola spiega argutamente nella prefazione al libro “Fuori Menu – Gli imprenditori che hanno rivoluzionato il gusto made in Italy” pubblicato Fernanda Roggero per le edizioni Luiss.

“Tutto il male dell’Italia proviene dall’anarchia, ma anche tutto il bene”, scriveva Giuseppe Prezzolini, autore dell’ingiustamente dimenticato Spaghetti dinner. Centrando in pieno quel nodo inestricabile di consuetudini e abitudini, tendenze e competenze, vocazioni e disposizioni, somiglianze e diffidenze che giace nelle profondità̀ dell’identità̀ nazionale. Da quel nodo – spiega Marino Niola – discende il made in Italy che, prima ancora di essere un’economia, è un’antropologia, una struttura profonda della mentalità e del costume, un modo di essere e di sentire caratterizzato dalla compresenza di tradizione e innovazione, municipalismo e globalismo, familismo e concorrenza.

È l’insieme dei pregi del Belpaese. E perfino dei suoi difetti. Sanificati, emendati, ottimizzati e trasformati in virtù̀. E questa combinazione tra tipicità̀ e qualità̀ rende la nostra gastronomia particolarmente al passo con il nostro tempo. Che dell’alimentazione ha fatto una passione e un’ossessione. Oscillante tra cibomania e cibofobia. Ma anche la materia prima di una nuova idea dello sviluppo e della sicurezza, dell’ecologia e dell’economia, dell’equità̀, della felicità, della salute e del piacere. I grandi temi del presente come la qualità̀ della vita, la difesa dell’ambiente e del vivente, la salvaguardia delle biodiversità̀, la bioetica animale, la tutela delle filiere corte, la modernizzazione delle produzioni e delle tradizioni, la tutela delle identità̀ e delle comunità̀, passano soprattutto attraverso le scelte e le sensibilità̀ alimentari.

E questo – prosegue Niola – è particolarmente vero in un Paese come l’Italia che del food ha fatto da sempre una delle sue cifre nel tappeto. Il marcatore identitario dei mille campanili, delle piccole e delle grandi patrie gastronomiche di cui è fatto lo Stivale. Una miriade di eccellenze e specialità̀ che hanno fatto della tavola tricolore un mito planetario. Apprezzato da tutti e imitato da troppi. E della nostra dieta mediterranea l’immagine stessa del mangiare di domani, buono, democratico, stagionale, conviviale e solidale.

Marino Niola: dietro ogni sapore c’è una vicenda storica e umana, sociale e personale che viene da molto lontano.

Dietro ogni cibo c’è una storia da raccontare. Perché́, in realtà̀, il made in Italy da mangiare nasce da una simbiosi secolare tra capolavori dell’arte e cattedrali del gusto, che sono prodotti di un medesimo genius loci. Dove dietro ogni sapore c’è una vicenda storica e umana, sociale e personale che viene da molto lontano.

Dalle spezierie medievali, dall’orgoglio comunale, dalle botteghe rinascimentali, dal dinamismo emporiale delle repubbliche marinare, dall’orientalismo dei mercanti e degli artigiani veneziani, dagli umori e sapori greci, arabi, normanni e spagnoli del Mezzogiorno, dall’energia trasformatrice dei longobardi e da quella bonificatrice degli ordini monastici, dal raffinato estetismo dei bizantini, dalle sontuose gastronomie di palazzo e dalle talentuose cucine popolari, dai maestri delle corti. Ma anche e soprattutto dalle maestre dei cortili, le anonime regine di quei focolari, aie e barchesse, dove per secoli si è esercitata l’anonima sapienza contadina, l’umile creatività̀ delle donne, costrette a fare le nozze con i fichi secchi trasformando la scarsità̀ in bontà̀, l’indigenza in eccellenza. È questo il minimo comune denominatore culturale delle piccole patrie alimentari, di ieri e di oggi, che sono le capitali diffuse del made in Italy”.

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