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Macchiati: “Perchè l’Italia cresce poco: tutto nasce da cattive istituzioni”

INTERVISTA DEL WEEKEND – L’economista Alfredo Macchiati spiega a FIRSTonline il suo nuovo libro (“Perchè l’Italia cresce poco”, il Mulino): alla base della stagnazione italiana c’è la pessima qualità delle istituzioni – Ecco perchè il SI’ al referendum può aprire la strada alle riforme strutturali che potrebbero essere accelerate da interventi sul fisco e sul debito pubblico.

Macchiati: “Perchè l’Italia cresce poco: tutto nasce da cattive istituzioni”

“Il radicale cambio di scenario degli anni novanta – nella tecnologia, nel commercio mondiale, nella politica internazionale, e nel regime monetario dell’Europa con la creazione di una moneta unica – ci hanno trovato con una struttura della politica e dell’economia del tutto inadeguata. Le nostre istituzioni non hanno saputo reagire adeguatamente e questo spiega l’arresto dello sviluppo e poi la crisi che ha colpito in maniera molto più profonda l’Italia rispetto ad altri paesi a noi vicini”.

Alfredo Macchiati, professore di politica economica alla Luiss, ma in precedenza con vaste esperienze nella pubblica amministrazione, e segnatamente nella varie autorità (dalla Banca d’Italia all’Antitrust e alla Consob), e nelle società pubbliche, non ha dubbi nell’individuare le cause si fondo del declino ormai ultra ventennale del nostro Paese. “Non si tratta di introdurre solo correttivi macroeconomici, e cioè un po’ meno di austerità ed un bel po’ meno di tasse, per risollevare le sorti del nostro paese e rimetterlo al pari degli altri paesi europei che pure non mostrano grandi performance di crescita”.

Alfredo Macchiati ha appena pubblicato presso il Mulino un saggio, “Perché l’Italia cresce poco”, che sarà presentato e discusso il 29 novembre alla Luiss a Roma dal ministro Padoan e da Bassanini e Messori: in quel libro dimostra con abbondanza di dati e di analisi intersettoriali, citando economisti ma anche politologi e sociologi, che il problema del nostro Paese sta nel fatto che, proprio mentre diventava manifesta la necessità di adeguarci ai grandi cambiamenti dello scenario mondiale, ci siamo ritrovati con uno Stato più debole ad al tempo stesso più pesante, meglio sarebbe dire più ingombrante, che non ha saputo respingere le pressioni particolari in nome di un interesse generale, ma nello stesso tempo ha ostacolato il funzionamento dei mercati, limitando di fatto la concorrenza. Ecco l’intervista che Macchiati ha rilasciato a FIRSTonline.

Professor Macchiati, molti problemi sono antichi, e risalgono addirittura ai primi anni della formazione dello Stato unitario, ma altri si sono accumulati più di recente, nella così detta seconda Repubblica. Come mai nessun problema è stato affrontato per tempo?

“La seconda Repubblica ha provato ad affrontare alcune riforme ma non ha saputo portarle a compimento per l’opposizione di gruppi sociali che si sentivano minacciati, sia per la intrinseca instabilità dei governi che si sono succeduti in quel ventennio. I governi, come si ricorderà sono stati fortemente contrastati nella loro azione da una opposizione spesso pregiudiziale, e soprattutto da una forte conflittualità interna alle coalizioni vincitrici delle elezioni. Il risultato è stato che durante quel ventennio non sono stati risolti ne’ i problemi ereditati dal passato, ne’ quelli nel frattempo sopraggiunti. È questo spiega la stagnazione di gran parte di quel periodo e poi la forte crisi che dal 2008 ci ha particolarmente penalizzato.” 

Quindi non è vero che governi deboli favoriscono il mercato e quindi lo sviluppo spontaneo delle imprese.

“Ormai c’è un’ampia letteratura, da Toniolo a Salvati, che dimostra come la crescita necessiti di governi capaci di dare un indirizzo alla società, rendere servizi essenziali, come la Giustizia, o la sicurezza a costi contenuti, stimolare la migliore educazione delle persone per renderle capaci di affrontare la sfida dell’innovazione. La cattiva qualità delle istituzioni invece non facilita il cambiamento ed anzi, per contro, finisce per essere succube delle spinte neocorporative che lavorano per l’arroccamento in difesa degli interessi costituiti.”

Proprio questo appare come un punto qualificante. Nel libro è messo in evidenza come la debolezza della politica ha finito per favorire la tendenza delle elite che guidano le istituzioni e dominano il mondo economico, ad aumentare la pressione “estrattiva” cioè la capacità di estrarre reddito e ricchezza a danno della società.

“E questa è proprio la ragione principale per cui il nostro sistema si è arrestato. Uno stato debole ma nello stesso tempo onnipresente, ha accentuato gli appetiti di tutti i gruppi politici ed economici per la conquista di posizioni di potere. Questo poi è stato favorito anche da riforme sbagliate come quella del 2001 che ha dato troppi poteri alle Regioni senza prevedere strumenti di controllo, nemmeno nella stesura dei bilanci dove ogni regione aveva la facoltà di scegliere i propri criteri contabili”.

Ci troviamo quindi in una situazione molto difficile. Dal libro appare chiaro che la sistemazione delle istituzioni è un primo passo per tentare di proseguire nella strada delle riforme.

“Sicuramente credo che con il Referendum potremo compiere un primo passo nella giusta direzione. Soprattutto vedremo se la pubblica opinione deciderà di arroccarsi sull’esistente (che però sappiamo che non è altro che il prolungamento della stagnazione) o se vorrà lanciare un segnale di voler provare a stare nel mondo che cambia a velocità molto forte, ma che noi potremmo, se sapremo fare le scelte giuste, ben cavalcare con vantaggi per tutti”.

Forse gli italiani non sono ancora convinti che la sola difesa (il ritorno alla vecchia lira, la svalutazione, la spesa pubblica in deficit) non potrebbe salvarci da un progressivo declino economico e da una sempre più grave depressione psicologica. Solo il cambiamento ed un governo autorevole che abbia una prospettiva di durare l’intera legislatura, può darci la possibilità di arginare le corporazioni. Ma comunque sarà una strada lunga.

“Sicuramente le riforme strutturali richiedono del tempo per dare i frutti sperati. Si pensi alla necessità di riformare l’istruzione e l’università. I primi studenti potranno uscirne comunque tra diversi anni. Io credo che mentre dovremo procedere alle riforme strutturali, si dovrebbe fare qualcosa per accelerare i tempi. E penso soprattutto a due provvedimenti. Da un lato una profonda e coraggiosa riforma fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e sulle imprese, e dall’altro alla possibilità di affrontare il problema del debito pubblico. Non con provvedimenti penalizzanti per i risparmiatori, ma con operazioni finanziarie che pure sono state studiate livello europeo e che potrebbero alleviare il nostro fardello. Mi stupisce che se ne parli poco anche a livello accademico. Ma è evidente che senza affrontare anche la questione del debito i nostri sforzi per uscire dal pantano rischierebbero di essere troppo gravosi e quindi di non raccogliere il necessario consenso da parte dei cittadini”.

Il messaggio di Macchiati è chiaro. Senza istituzioni efficienti non avremo una politica capace di affrontare con coraggio i nostri nodi strutturali. A lui non dispiacerebbe una maggiore intesa tra le forze politiche non populiste – il difetto di coesione è un altro dei nodi atavici che il libro sottolinea e documenta – anche per avere la forza sufficiente a vincere le resistenze di chi come la Magistratura e la PA sono dotati da un forte potere di veto che, almeno finora ,è uscito vittorioso da tutti i tentativi delle politica di imporre un cambiamento. Forse è così. Ma per il momento siamo lontanissimi da un qualsiasi sentimento di comprensione reciproca tra destra e sinistra tradizionali. Ora c’è la prova referendaria, ed è da lì che occorre partire per avviare un processo di cambiamento delle istituzioni come auspicato dalla puntuale analisi del professor Macchiati contenuta nel suo libro.

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