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Debito e crescita: per il dopo voto anche Scalfari punta sulla coppia Bersani-Monti

Una picconata al debito pubblico e un’ideona per la crescita: per l’Italia i compiti a casa non finiscono mai e dovranno durare anche nella prossima legislatura – Per questo si comincia a ragionare sul dopo-voto e anche il fondatore de “La Repubblica”, Eugenio Scalfari, scommette sulla coppia Bersani (a Palazzo Chigi) e Monti (al Tesoro).

Debito e crescita: per il dopo voto anche Scalfari punta sulla coppia Bersani-Monti

I compiti a casa sono un po’ come gli esami a scuola: non solo bisogna prepararli anche durante le vacanze d’estate, ma non finiscono mai. Né per Monti né per l’Italia. Una picconata al debito pubblico e la caccia a un’ideona per la crescita domineranno la ripresa dell’attività di governo in programma già per la fine della prossima settimana, con l’occhio alle insidie dei mercati nel Generale Agosto, ma anche a un orizzonte di breve e di medio periodo. Con grande diligenza “Il Sole 24 Ore” ha provato a tracciare un bilancio dell’attività del governo Monti nei suoi primi 9 mesi di vita e il risultato è nei numeri: 26 decreti varati da novembre ad oggi di cui 23 già convertiti e 17 disegni di legge approvati dal Consiglio dei ministri di cui 8 sono già diventati legge.

Malgrado alcuni errori di non poco conto (gli esodati su tutti), il governo Monti – oltre a recuperare credibilità ma forse bisognerebbe dire centralità sul piano internazionale – ha completato la riforma delle pensioni e del lavoro, avviato i cantieri delle liberalizzazioni e delle semplificazioni e quelli della spending review e dello sviluppo. Rispetto al programma iniziale di Monti mancano la riforma fiscale – e non è poco – e le dismissioni, che il premier ha promesso di rilanciare al più presto.

Il fatto stesso che sul tavolo di Monti a Palazzo Chigi si vadano accatastando proposte su proposte (ultime, ma non certo per importanza, quelle del Pdl e di Astrid di Amato e Bassanini) è un buon segno che misura la crescente consapevolezza che, prima ancora che ce lo ricordi l’Europa, senza un colpo di piccone al nostro debito pubblico che lo avvicini in tempi ragionevolmente brevi alla soglia psicologica del 100% del Pil è difficile per l’Italia recuperare la fiducia dei mercati ma soprattutto tenere sotto controllo i conti e ridurre la zavorra che pesa sull’economia.

Quanto alla crescita è più che giusto agire su tutta la tastiera degli interventi possibili (dalla formazione alla ricerca e all’innovazione e al sostegno delle start up, dalle infrastrutture materiali e immateriali alle liberalizzazioni) ma senza dimenticare che i loro effetti non potranno arrivare a breve e che invece i risultati servono subito. Mission impossibile? No, ma a due condizioni: che si sblocchino subito i 100 miliardi di pagamenti che la PA deve alle imprese e che, come aveva segnalato Ernesto Auci su FIRSTonline dell’8 agosto, c’è una sola ideona in grado di produrre risultati a breve per la crescita: ridurre le tasse sul lavoro e sulle imprese rintracciando le risorse dal taglio esteso e radicale della spesa pubblica improduttiva

Visto il peggioramento della congiuntura e della disoccupazione, l’ideale (vedi Andrea Terzi sul FIRSTonline del 9 agosto) sarebbe il lancio di un piano straordinario di riduzione delle tasse su lavoro e imprese promosso e coordinato dall’Unione europea, ma sotto la deludente presidenza Barroso è difficile che possano avvenire miracoli. E dunque bisogna che l’Italia si attrezzi per fare da sola.

Aggredire il debito pubblico è urgente ma andare in pressing sulla crescita con l’obiettivo di raccogliere risultati da subito rasenta il temerario e fa onore a chi si cimenta in un’opera del genere sul finire della legislatura, ma non v’è chi non veda come un’impresa del genere non possa esaurirsi in pochi mesi ma segni anche il percorso degli anni futuri; ci sia o no il commissariamento dell’Italia che potrebbe derivare dalla richiesta di aiuti all’Europa sulla scia della Spagna.

Ma se questo è vero, è evidente che il montismo non possa finire in archivio come se si trattasse di una occasionale parentesi, ma meriti di vedere la sua eredità difesa e valorizzata anche nella prossima legislatura. Per primi il 4 di agosto abbiamo già fatto voti su FIRSTonline affinché il leader del Pd, Pierluigi Bersani, nel caso per ora non improbabile di vittoria elettorale e di incarico alla formazione del nuovo governo, offra la poltrona del Tesoro proprio a Mario Monti come garante della credibilità italiana di fronte all’Europa e di fronte ai mercati.

Fa piacere rilevare che un autorevolissimo osservatore come Eugenio Scalfari su “La Repubblica” di domenica 12 agosto arrivi alle stesse conclusioni, sostenendo che sarebbe felice e ne sarebbe anche Casini se il futuro governo Bersani chiamasse Monti per proseguire la sua azione tenendo conto del cosiddetto decalogo Fassina.

Di recente proprio il responsabile economico del Pd Stefano Fassina (si veda”Il Foglio” del 9 agosto con l’intervista di Claudio Cerasa) ha finalmente corretto i suoi precedenti sbandamenti ed è arrivato in pratica a proporre lo stesso programma della Merkel per l’Europa, la linea Draghi per la Bce e soprattutto lo stesso programma di Monti “rinverdito con una forte dose di sensibilità sociale” per l’Italia. “Meglio tardi che mai” commenta giustamente Scalfari.  Verrebbe da aggiungere: se saranno rose fioriranno. Ma lo vedremo presto.

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