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Salvate il soldato voucher: va regolato meglio ma è utile

Quello sui voucher è uno scontro di partito, tutto ideologico, che rischia di affossare uno strumento, che va certamente regolato meglio per evitarne gli abusi, ma che è utile – Cancellarli del tutto, come sostiene la Cgil che in realtà ne fa ampio uso, sarebbe un clamoroso boomerang

Salvate il soldato voucher: va regolato meglio ma è utile

L’inventore del Gioco dell’Oca, chissà chi è e chissà se ne ha mai avuto consapevolezza, è anche l’inventore di una straordinaria metafora della vita politica italiana: ogni 10 caselle si ritorna al punto di partenza, ecco la regola a cui sottostanno tutti i protagonisti, nel gioco come nella realtà (i due piani spesso si confondono). Ultima conferma è l’intricato caso dei voucher.

La Cgil li ha identificati come il simbolo del precariato e ora ne chiede la totale cancellazione via referendum. La Segretaria della Cgil, in un eccesso di verve polemica, si è spinta a definirli “pizzini”, marchiandoli dunque con lo stigma della mafiosità. Poi si è scoperto che a Bologna i pensionati dello Spi, i “suoi” pensionati, ne fanno ampio uso per remunerare le prestazioni saltuarie. “Siamo costretti, è l’unica alternativa al nero”, è stata la goffa spiegazione del segretario, che così s’è dato la classica zappa sui piedi.

Ad ogni modo, la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili i quesiti relativi a voucher e  appalti, mentre ha bocciato quello su articolo 18. Ma la polemica rovente che è seguita tra i vertici della Cgil con l’Unità di Sergio Staino dimostra ancora una volta, qualunque giudizio se ne voglia dare, che la contesa, come sempre quando in Italia si discute di mercato del lavoro, ha già oltrepassato il merito della questione e si è fatta politica. Anzi, ideologica. Non già un corredo di idee e valori a cui affidare un sistema interpretativo ma la falsa coscienza della realtà derivante da retoriche morte.

Il presidente dell’INPS Boeri segnala che la CGIL ha fatto uso di voucher per 750.000 euro. Il sindacato risponde che l’ha fatto con 600 pensionati che lavorano saltuariamente per supporto e accoglienza nelle 4mila sedi del sindacato, per un compenso massimo di 150 euro al mese. La CGIL aggiunge che “non c’è alcuna ipocrisia” visto che lo stesso sindacato propone l’introduzione di norme volte a regolamentare il lavoro subordinato occasionale e accessorio”. Senza polemiche, resta il tema di fondo. Immaginando di abolire i voucher, quali strumenti legislativi si possono attivare per questo tipo di prestazioni? Non è uno scandalo usarli, anzi, ma almeno non chiamiamoli “pizzini”.

Prima cosa si utilizzava anche nelle organizzazioni sindacali? I co.co.pro che noi abbiamo chiesto di cancellare. Forse andava valorizzato e meglio regolamentato il lavoro a progetto. Purtroppo la sinistra salottiera, sempre più lontana dalla realtà invece di occuparsi con serietà di lavoro ha bisogno di simboli: l’art.18, i co.co.pro, gli esodati, ora tocca ai voucher.  Questioni importanti con abusi in tutte le direzioni. Come per gli esodati, in cui le scempiaggini della Fornero hanno prodotto 8 salvaguardie in cui accanto a persone veramente disperate, sono rientrate persone che erano uscite volontariamente dal lavoro con buonuscite con molti zeri, utili a pagare il ponte contributivo alla pensione per diverse persone.

E poi, se si dovessero cancellare le forme contrattuali soggette ad abusi, il primo da abrogare è il contratto a tempo indeterminato, e che dire degli stage, etc.? Impediamo gli abusi.

Purtroppo, però, finché non ci decideremo a deideologizzare il dibattito sul lavoro, l’Italia rimarrà sempre indietro. Il tema dei voucher è senz’altro importante, benché interessi solo una ristretta nicchia di lavoratori (lo 0,3% sul totale delle ore lavorate nel 2015 in Italia) ma di fronte ad una disoccupazione giovanile tra le più alte d’Europa, al forte deficit infrastrutturale che pesa sul nostro Paese, forse bisognerebbe concentrare gli sforzi sulla risoluzione dei problemi attraverso il dialogo e la mediazione, anziché puntare per l’ennesima volta alla prova di forza.

Volendo gli esempi non mancano. Il contratto dei metalmeccanici che è stato rinnovato di recente, rappresenta proprio un caso di mediazione alta tra posizioni diverse, mediazione che è stata possibile perché tutti gli interlocutori si riconoscevano in obiettivi comuni.
Viceversa la contrapposizione continua, invece di risolvere i problemi, ad animare un populismo rancoroso. Ora pensare di abolire completamente i voucher, come proposto dalla Cgil, immaginando di sostituirli con forme contrattuali vicine al lavoro subordinato è come fingere, perché è impossibile, di fermare l’acqua di una diga con le mani. La realtà è un’altra: i voucher sono uno strumento utile. Da anni introdotto in tutti i paese. In Italia furono introdotti nel 2003 con la Legge Biagi ma entrati in funzione solo nel 2008, all’inizio hanno avuto un impiego circoscritto all’agricoltura: un modo per retribuire pensionati e giovani che aiutavano nella vendemmia o in altri lavori stagionali.

Poi, negli anni, sono stati estesi a sempre più settori e lavoratori: il lavoro domestico, le lezioni private, il turismo e il commercio sono stati i primi. Dal 2009, con il governo Berlusconi, l’uso è stato esteso anche alle amministrazioni pubbliche, a edilizia, industria e trasporto. Il vero problema, tuttavia, è sorto quando l’asse Alfano-Bersani-Casini, che sosteneva il governo Monti e la sua riforma del lavoro, ne ha esteso il raggio agli impieghi non saltuari: da qui parte l’utilizzo improprio e gli abusi. Il governo Renzi, con il Jobs Act, ha elevato da 5.000 a 7.000 euro il tetto massimo di voucher percepibili dal lavoratore in un anno, ha introdotto i voucher baby sitter da utilizzare al posto del congedo maternità, ma ha anche tentato di arginare gli abusi con la tracciabilità (comunicazione preventiva del datore via sms o mail).

Questo il quadro. Va anche detto che il compenso orario di 7.50 euro netti previsto per i voucher è vicino agli 8.50 euro del salario minimo legale tedesco. E’ vero, l’estensione ha favorito la tendenza all’abuso. Ma cancellarli del tutto, come propone la Cgil, oltre a non risolvere il problema del lavoro nero, farebbe rimanere il nostro Paese con la più alta quota di sommerso in Europa.

E comunque il problema degli abusi interessa i datori di lavoro, che sono imprese, e non le persone fisiche che invece non hanno l’obbligo di attivazione telematica e che quindi Inps e Inail conoscono bene. Bisognerebbe quindi potenziare l’attività ispettiva e attivare i necessari controlli, magari accompagnati da pesanti sanzioni: se tutti pensano di farla franca, ogni strumento che viene messo in campo rischia di essere inutile.

Purtroppo negli ultimi venti anni tutti i governi hanno disinvestito dall’attività ispettiva, lasciando praterie aperte ai furbi. L’abolizione pura e semplice è solo la scorciatoia delle “anime belle” che si vogliono mettere a posto la coscienza ignorando il problema.
La verità è che se la lotta al lavoro nero si vuole fare davvero quest’ultimo va fatto emergere, con controlli e con forme che ne diano visibilità. Chi controlla, ad esempio, se quello che sulla carta figura come un part-time in realtà non va oltre l’orario stabilito, con pagamento in nero delle ore extra (sempre che vengano pagate)o un lavoro stagionale?

I voucher rappresentano dunque un ottimo strumento che va salvaguardato, riportandolo dentro l’alveo del lavoro occasionale, secondo i limiti precedenti al 2012 ma preservando la tracciabilità introdotta dal Governo Renzi con la comunicazione preventiva via sms.

Sul fronte del Jobs Act,  bocciato il referendum sull’articolo 18,  ora bisogna dare concretezza alla  prospettiva aperta  sul versante della formazione che, con l’introduzione dell’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive, punta a imprimere un indirizzo unitario a una materia che la frammentazione delle competenze regionali ha gravemente penalizzato. La mancata riforma del Titolo V, da questo punto di vista, ha complicato molto le cose. Ricapitolando: l’articolo 18 è sicuramente importante, ma mente spudoratamente sia chi dice che la sua abolizione fa crescere il Paese, sia chi ne fa la chiave di volta del problema delle tutele del mercato del lavoro.

Nel 2014 su 100 nuovi lavoratori solo 15 potevano contare sullo Statuto dei lavoratori: per gli altri 85 questa legge, che ha rappresentato e rappresenta un cardine nella difesa dei diritti dei lavoratori, è una emerita sconosciuta. Lo stesso discorso vale per i giovani sotto i 40 anni che vivono di sharing e gig economy. Per concludere. I 600 mila posti di lavoro persi nell’industria durante gli otto anni di crisi erano tutti tutelati dall’articolo 18: evidentemente non è bastato. E’ necessario invece ricreare nel nostro Paese un habitat d’impresa che favorisca sviluppo e conseguente occupazione. Finché saremo concentrati solo sulle norme  non creeremo un solo posto di lavoro in più.

In conclusione, la Consulta ha reso ammissibili solo i referendum su appalti e voucher. Ci sono proposte di legge per fermare gli abusi. Un bel segnale sarebbe ritrovare su questi obiettivi un fronte comune, la speculazione elettorale sul lavoro fa male ai lavoratori e alle imprese.

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