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Lo schiaffo francese colpì anche Gianni Agnelli

Ben prima di Giuseppe Bono, numero uno di Fincantieri, anche Gianni Agnelli incappò nel veto di Charles De Gaulle negli anni ’60. Stesso destino per Vittorio Mincato (Eni) e per Fulvio Conti (Enel) che trovò sbarrata la strada su Suez ma fece tesoro dell’esperienza e conquistò Endesa in Spagna. Quando il gioco si fa duro….

Il dietrofront del governo francese sui cantieri di Saint Nazaire non è il primo, e forse non sarà l’ultimo nella storia complicata dei rapporti economici e politici tra i due “cugini” europei, Francia e Italia.

Prima ancora di Giuseppe Bono, l’amministratore delegato del gruppo Fincantieri che aveva concordato con François Hollande una quota italiana del 66,6% sulla strategica Stx, persino Gianni Agnelli incappò alla fine degli anni ’60 nel veto di Parigi quando la Fiat aveva tentato di accordarsi con Citroen. L’episodio è riemerso in questi giorni dalla memoria storica di Giulio Sapelli: “Gianni Agnelli aveva quasi chiuso le trattative, ma poi intervenne il generale Charles de Gaulle a bloccare tutto e a proporre un gruppo paritetico. Mancava poco che accadesse l’esatto contrario, che i francesi arrivassero a comprarsi Fiat”.

Qualcosa di simile accadde anche a Vittorio Mincato, amministratore delegato dell’Eni dal 1998 al 2005, che dopo aver negoziato un’acquisizione nel settore degli idrocarburi nei minimi dettagli e quando i comunicati stampa erano ormai pronti, dovette arrendersi. All’ultimo il governo di Parigi sconfessò l’accordo, dietrofront, non se ne fece più nulla.

Che dire poi della brutta avventura di Enel con Suez? Fulvio Conti, allora Ad del gruppo elettrico italiano in cerca di espansione all’estero (come poi portò a termine con l’acquisizione della spagnola Endesa) aveva mosso l’offensiva nientemeno che su Suez, il gioiello francese dell’energia e del trattamento dei rifiuti e dell’acqua, presente in una settantina di Paesi nel mondo e soprattutto proprietaria della quota di controllo di Electrabel, la società elettrica belga. Una preda ideale per un matrimonio con Enel pronta a lanciare un’Opa da 50 miliardi per rafforzarsi all’estero e bilanciare la cura dimagrante subita in Italia con la liberalizzazione del mercato che le aveva tolto 15.000 MW e il controllo sulla rete nazionale di trasmissione passato a Terna.

La risposta del governo francese fu la fusione di Suez con Gdf, il campione nazionale del gas (capitale all’80% controllato dallo Stato), decisa a tempo di record e in grado di stoppare qualsiasi velleità dell’Enel che non avrebbe mai e poi mai potuto digerire un boccone così enorme. Al governo, in Italia, c’erano Giulio Tremonti (Economia) e Claudio Scajola (Sviluppo). Premier era Silvio Berlusconi, dimissionario al momento in cui accaddero i fatti tra febbraio e marzo 2006.

A Parigi era ministro dell’Economia Tierry Breton che non batté ciglio alle rimostranze italiane e completò l’operazione con l’assenso dell’Europa dove era presidente Josè Emanuel Barroso. “Violato lo spirito della Ue, non la legge” osservò l’eurocommissario al mercato interno Charlie Mc Creevy mettendo una pietra tombale su qualsiasi rivendicazione italiana. E’ un’osservazione sulla quale ancora oggi si può riflettere: quando si varca la frontiera occorre valutare attentamente i rapporti di forza e preparasi al gioco duro. L’esperienza su Suez servì all’Enel che poi ha saputo muoversi con maggiore accortezza ed efficacia in Spagna conquistando Endesa. Il che ne fa oggi un colosso multinazionale che opera in 31 Paesi dall’Italia al Brasile, dagli Stati Uniti al Sud Africa.

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